Prese il nome di “cucina futurista” quella ideata da Filippo Tommaso Marinetti negli anni ’30 che, tra le altre cose, conduceva una lotta contro l’«alimento amidaceo» cioè la pastasciutta, considerata causa di «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo»

Era il dicembre del 1930 e dai microfoni della radio, il fondatore del Futurismo – Filippo Tommaso Marinetti – metteva in ridicolo il pilastro alimentare italiano: la pastasciutta. Tra le altre cose affermava che «Pur riconoscendo che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia.»
La nuova cucina, com’era indicato nel Manifesto della cucina futurista del 1913, voleva “agilizzare” il corpo così come aveva “agilizzato” la letteratura con le parole in libertà, stabilendo il nutrimento adatto ad una vita aerea e veloce. Ora con quel grido “abbasso la pastasciutta” si voleva dare inizio ad una vera e propria rinascenza culinaria.
Il successo più grande, i futuristi lo ottennero con gli “aerobanchetti”, il più famoso dei quali si tenne a Bologna nel 1931. Il banchetto si svolse su tavole a forma di aereo, le tovaglie erano foglie di alluminio su cui poggiavano piatti a loro volta d’alluminio, il metallo leggero e luccicante preferito dai futuristi. E tra portate del tipo “aeroporto piccante” (insalata russa) e rombi d’ascesa (risotto all’arancia) c’era chi inneggiava al carburante (il Lambrusco).
La Taverna del Santopalato a Torino
La svolta rivoluzionaria della cucina futurista condusse anche all’apertura di un ristorante nella Torino dei motori, che prese il nome di Taverna del Santopalato. Artisti, intellettuali e attrici parteciparono alla memorabile inaugurazione l’8 marzo 1931. Il menù fu rigorosamente futurista e introdotto da una “polibibita” (cocktail), a cui fecero seguito gli antipasti intuitivi, il brodo solare, l’ “aerovivanda “, l’”equatore +polo nord” proposto dal gerarca Prampolini, ma il più famoso e più volte usato anche negli aerobanchetti fu il “pollofiat”, dove si proponeva un pollo ricoperto di confettini argentati e adagiato in un bagno di zabaione rosso.
Le portate furono quattordici e servite nella sala della Taverna del Santopalato, il cui ambiente era dominato da due grandi scatole cubiche rivestite di alluminio, con colonne luminose, grandi oblò alle pareti mentre costanti getti d’acqua di colonia venivano spruzzati nell’aria. Quella serata restò negli annali della cultura europea ma, poco tempo dopo. il Santopalato di via Vanchiglia a Torino chiuse i battenti e la rivoluzione lasciò il posto alle guerre e alla cucina dell’autarchia. Questa però è un’altra storia.
© Articolo di Maurizio Minghetti
© Riproduzione vietata