Contorni e Finger Food Puglia

Pettole di Santa Cecilia: 3 trucchi per non sbagliare

Le pettole di Santa Cecilia vengono preparate in tutto il sud Italia dove hanno nomi diversi (cuculi, pasta crisciut, popizze, rospitelli, scrpedd e sfingi) ma sono soprattutto una ricetta pugliese ed in particolare salentina.

Le pettole di Santa Cecilia vengono preparate in tutto il sud Italia dove hanno nomi diversi (cuculi, pasta crisciut, popizze, rospitelli, scrpedd e sfingi) ma sono soprattutto una ricetta pugliese ed in particolare salentina.

Ricetta Pettole di Santa Cecilia: 3 trucchi per non sbagliare
Ricetta Pettole di Santa Cecilia: 3 trucchi per non sbagliare (Foto © Alessandra Barbazza).

A seconda della località,  sono anche chiamate Pettole salentine o Pettole di Taranto e rappresentano un sostituto del pane o un antipasto abbinate a salumi e formaggi. La loro storia è molto antica e diverse sono le leggende legate sia all’origine del nome che della ricetta. Le pettole sono buone al naturale e apprezzabili sia nella versione dolce che salata, eventualmente arricchita all’interno. Infatti è possibile farcirle entrambe.

Salate o dolci: tutta questione di fantasia

La versione salata prevede che prima di friggerle si inserisca all’interno dei filetti di acciuga, cozze crude o del baccalà fritto; pezzetti di Parmigiano, olive, prosciutto o wurstel ma anche funghi, capperi, cavolo lesso, pomodorini oppure un mix di pecorino, basilico e pomodoro.

Le pettole dolci, dopo la frittura, possono essere passate nello zucchero semolato o spolverate con zucchero a velo o, ancora, intinte nel miele o nel vincotto. Una versione più moderna prevede l’aggiunta di Nutella all’interno prima di calarle nell’olio.

Ricetta Pettole di Santa Cecilia: 3 trucchi per non sbagliare
Versione dolce delle Pettole di Santa Cecilia (Foto © Alessandra Barbazza).

Ricetta Pettole di Santa Cecilia

Le varianti locali sono tante e le ricette, spesso rielaborate, cambiano da famiglia a famiglia. Alcuni utilizzano solo la farina di grano duro, altri preferiscono miscelarla con una parte di semola rimacinata. Il lievito madre, inoltre, è di frequente sostituito dal lievito di birra. Alcune versioni, infine, prevedono l’impiego di una patata lessa schiacciata che, aggiunta all’impasto, conferirebbe una maggiore morbidezza.

Ingredienti

  • 1 kg di farina
  • 1 cubetto di lievito di birra da 25 grammi
  • 2 cucchiaini di sale
  • poca acqua tiepida
  • olio di semi di arachide q.b.

Preparazione

In una ciotola, mescolare la farina setacciata a fontana con il lievito di birra precedentemente sciolto in acqua calda e aggiungere, poco alla volta, l’acqua e unire il sale.

Mescolare bene gli ingredienti, impastare il tutto con le mani o con la planetaria e lasciar lievitare il composto ottenuto in un luogo caldo; ci vorranno circa 4 ore.

A questo punto, prelevare dall’impasto delle palline e gettarle in una pentola con l’olio ben caldo. Dopo qualche minuto, quando saranno ben dorate, fate assorbire l’olio in eccesso dalle pettole ponendole su carta assorbente.

Prima della frittura, è possibile arricchire l’impasto con il ripieno dolce o salato più gradito. A cottura ultimata, spolverare con zucchero a velo o semolato o miele nella versione dolce o con una spolverata di sale nella versione rustica.

Pettole di Santa Cecilia: 3 trucchi per non sbagliare

  1. Il segreto della morbidezza delle pettole consiste nell’energia impiegata nella lavorazione della pastella. L’impasto, dovrà essere fluido e omogeneo, mai liquido, e va sollevato e sbattuto più volte con le mani sul fondo del recipiente in cui avviene la lavorazione. Questo procedimento consente di incorporare più aria possibile, così da avere poi pettole soffici.
  2. La lievitazione dovrà essere lenta e lunga. Per lasciare riposare meglio l’impasto, si consiglia di coprirlo con uno strofinaccio o con una coperta per posizionarlo successivamente in un luogo caldo e asciutto.
  3. La padella per la frittura dovrà essere piuttosto alta e le pettole devono letteralmente sguazzare nell’olio, questo al fine di evitare che l’interno resti crudo.
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Carmen Bilotta

Filosofa di formazione, antropologa per scelta. Mi considero un’antropologa-scrittrice errante e curiosa, animata dal desiderio di conoscere e far conoscere luoghi e culture altre. Mi occupo di cibo, marketing territoriale, esperienze di recupero, tutela e valorizzazione delle antiche varietà locali nel campo dell’agro-biodiversità.

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