Basilicata Dolci e frutta

“Cuccìa”, un antico dolce ricco di storia, fede e leggenda

La cuccìa è un dolce a base di grano cotto che rappresenta l’evoluzione vivente di una pratica gastronomica tra le più antiche d’Italia. Inoltre racchiude all’interno dei suoi ingredienti un forte potere simbolico.

Rappresenta l’evoluzione vivente di una pratica gastronomica tra le più antiche d’Italia e racchiude all’interno dei suoi ingredienti un forte potere simbolico.

Cuccìa, storia, leggenda e ricetta del dolce
La cuccìa preparata nella versione greca.

La cuccìa è un dolce a base di grano cotto e arricchito da insoliti accostamenti, conosciuto con molteplici nomi e varianti sia dolci che salate. Da secoli è connessa al culto dei morti, alla primavera come simbolo di rinascita e ad alcune festività della religione Cristiana, tra le quali le celebrazioni in onore di Santa Lucia.

Oltre ad essere diffusa in numerosi territori del Sud Italia la ritroviamo in diversi Paesi dell’Europa orientale e in quasi tutto il bacino del Mediterraneo. L’assenza di ingredienti di origine animale, la rende un ottimo dolce anche per vegetariani e vegani.

Cuccìa, storia, leggenda e ricetta del dolce di Santa Lucia

La prima fonte scritta che dà notizia della cuccìa è il Vocabolario siciliano-latino dello Scobar, stampato a Venezia nel 1519 dove si legge: “Cucchia: triticum decoctum” (Cuccìa: grano bollito).

Il termine deriva dal greco τα κοκκια, ovvero i grani o granuli e sembra, in effetti, che le origini della cuccìa siano da ricercare proprio nell’antica Grecia e più precisamente all’interno delle Antesterie, le festività in onore di Dioniso che si tenevano nei mesi di febbraio e marzo. All’interno di questi riti si celebrava, in venerazione dei defunti, la festa dei Chitri durante la quale si preparavano pietanze composte da grandi quantitativi di semi conditi in maniera molto essenziale. Da qui nascerà la cuccìa e la sua equivalente kollyva, termine che deriva da κόλλυβος ovvero il “chicco di grano” anticamente utilizzato per pesare l’oro.

L’alto valore simbolico contenuto nell’essenziale purezza dei singoli ingredienti valse sicuramente alla pietanza l’assunzione nelle ritualità del Cristianesimo primitivo a Bisanzio. Questa tradizione si diffonderà seguendo due importanti strade dell’espansione culturale e politica greco-bizantina o, più in generale, nell’intero mondo ortodosso.

La diffusione verso l’Europa orientale e l’Italia meridionale

Da una parte la ricetta si diffonde verso i Paesi dell’Europa orientale, dove è preparata tuttora. In Russia, infatti, è conosciuta come kutya, in Serbia come koljivo, in Romania è la colivă e in Bulgaria si chiama kolivo. Inoltre si mangia anche in Ucraina, Lituania, Bielorussia e Polonia.

L’altra strada è diretta verso le regioni dell’Italia meridionale dove l’usanza, oltre ad assumere l’originaria funzione rituale in onore dei defunti, si allontana dalla fede ortodossa e adotta quella cattolico-romana, estendendosi anche alle festività di alcuni santi. Oggi in molte località la cuccìa è preparata tradizionalmente il 2 novembre, dedicato alla commemorazione dei defunti, ed il 13 dicembre nel giorno di Santa Lucia.

In Grecia è preparata ancora oggi ed è conosciuta come koliva; in Libano esiste una pietanza simile chiamata snuniye. Nella Chiesa ortodossa la pietanza è utilizzata all’interno delle liturgie.

Come nasce la tradizione siciliana in onore di Santa Lucia

Una leggenda siciliana narra che durante una gravissima carestia che colpì la popolazione ormai giunta al limite della sopravvivenza, Santa Lucia avrebbe compiuto un miracolo facendo arrivare in porto alcune navi cariche di grano. La gente affamata non perse ulteriore tempo a macinarlo e trasformarlo in farina, lo mangiò semplicemente bollito e con le mani, chicco per chicco o meglio “cocciu per cocciu” in dialetto siciliano. Da quel momento il piatto si chiama cuccìa e si prepara in onore della Santa.

Le versioni della cuccìa in Puglia, Basilicata e Calabria

In alcune zone della Puglia la ricetta appare molto simile all’originale greca ed è conosciuta come coliba, colva, “cicc’ cuott” o grano dei morti.

In Basilicata e in Calabria la preparazione ha assunto caratteristiche proprie tanto da evolversi, in alcune circostanze, in una ricetta salata legata alla tradizione contadina. Secondo una tradizione lucana la sera del 12 dicembre ogni famiglia prepara la cuccìa, affinché durante la notte, Santa Lucia possa imprimere il suo segno su di essa. Il giorno successivo il piatto viene condiviso con amici e parenti.

Cuccìa, storia, leggenda e ricetta del dolce
La cuccìa nella versione italiana.

Le varianti della cuccìa, dalle dolci alle salate

Le continue contaminazioni culturali e religiose hanno fatto si che la ricetta originaria della cuccìa si sia modificata nel tempo con tantissime varianti e tutte deliziose. All’ingrediente primario, ossia il grano, vengono aggiunti semi di melagrana, noci, vincotto, miele o zucchero, mandorle, uva passa, oppure cioccolato, frutta candita, caramelle, cannella o ricotta.

Talvolta viene modellata a forma di tomba e, una volta pronta, viene cosparsa con zucchero a velo e decorata con croci e le iniziali del defunto fatte di acini di melagrana o caramelle.

Le tipologie salate, più vicine alle tradizioni dei vari luoghi, sono composte invece da grano e altri cereali con la possibile aggiunta di legumi, spezie, salsa di pomodoro o carne di vario genere.

Simbologia e significato dei semi

Tutte le tipologie di cuccìa hanno in comune la presenza di semi che possiedono il significato simbolico della rinascita. Ogni seme ha in sé una nuova vita, è simbolo di fertilità e prosperità.

Gli ingredienti principali, inoltre, ci rimandano a ritagli della fede cristiana e della mitologia greca, oltre che all’incessante ciclo morte-vita.

Il grano, oltre ad essere il cuore pulsante dell’alimentazione dei popoli del Mediterraneo, è anche il simbolo del sole e del susseguirsi delle sue fasi: rappresenta l’analogia del passaggio dell’anima dall’oscurità alla luce. Il seme, una volta sepolto a terra, non muore veramente anzi più tardi germoglierà in una nuova pianta e porterà molto più frutto di se stesso. Un riferimento lo troviamo nel Vangelo di Giovanni:

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto».

Il legame con il culto di Santa Lucia è, a sua volta, connesso con i cicli solari e la rotazione delle stagioni: la riaffermazione della luce rispetto all’oscurità, come la vita che trionfa sulla morte.

Anche il frutto del melograno ha un ruolo fondamentale all’interno del piatto perchè rappresenta la fecondità, l’abbondanza e la buona fortuna. La sua simbologia è legata al mito greco di Persefone la quale, secondo la leggenda, è coinvolta nell’alternanza delle stagioni.

Ricetta lucana della cuccìa

Ingredienti

  • 350 g di grano tenero
  • Vino cotto q.b.
  • 4-5 cucchiai di zucchero
  • 150 g di gherigli di noci
  • Acini di 1 melagrana

Preparazione

  1. Pulire e lavare il grano e lasciarlo a bagno per 12 ore.
  2. Il giorno dopo, lavarlo bene sotto l’acqua corrente e metterlo in una pentola capiente, coperto da acqua fredda. Fare cuocere per circa un’ora.
  3. Dopo che si sarà raffreddato, trasferirlo in un altro recipiente; aggiungere gli acini di melagrana, le noci già sminuzzate, lo zucchero, il vino cotto. Amalgamare per bene.
  4. È consigliabile servire freddo.

© Articolo di Federico Poletta.

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