A tu per tu con la Robiola di Roccaverano

Sapevate che questo formaggio è fatto solo con il latte crudo di una razza di capre molto particolare che vive allo stato semibrado tra le colline delle Langhe? Siamo arrivati quasi al confine con la Liguria per svelarvi tutti i segreti con l’aiuto di Fabrizio Garbarino, presidente del Consorzio Robiola di Roccaverano DOP

Si fa presto a dire Robiola! Di solito la identifichiamo con un generico formaggio fresco spalmabile, facilmente reperibile anche tra i banchi frigorifero del supermercato. Una semplificazione eccessiva che non tiene conto delle sue varianti, diffuse tra Lombardia e Piemonte, con caratteristiche nutrizionali e di gusto spesso molto peculiari a seconda del territorio di produzione.

Robiola: le varianti da conoscere

La principale differenza per capire la robiola è sicuramente la tipologia di latte usato (vaccino, caprino, ovino o misto), e il relativo trattamento a cui è sottoposto nella preparazione (intero, crudo, pastorizzato). La seconda distinzione, invece, è determinata dal tipo di stagionatura, unito alla maturazione della sua crosta e alle relative muffe naturali.

Quella di cui vogliamo raccontarvi è una versione molto particolare, che si è meritata la dicitura DOP e che si produce in un’area piuttosto circoscritta delle Langhe, in Piemonte: la Robiola di Roccaverano, ottenuta da latte crudo, intero, di capra delle razze Roccaverano e Camosciata Alpina.

Robiola di Roccaverano DOP: storia e territorio di produzione

Il territorio della DOP Robiola di Roccaverano comprende 10 comuni della provincia di Asti e 9 comuni della provincia di Alessandria, ovvero la parte più orientale delle Langhe caratterizzata dalla presenza costante dei venti umidi provenienti dal mare e dalla formazione di nebbie e foschie. Le diversità e i cambiamenti climatici dettati dalle stagioni (neve e freddo d’inverno, caldo e siccità d’estate), consentono alle greggi di produrre un latte dagli aromi molto caratteristici e spesso differenti a seconda del singolo pascolo.

Sembra che la produzione di questo formaggio risalga addirittura ai Celti che abitavano queste zone, al confine tra Piemonte e Liguria, prima dell’arrivo dei Romani. E furono proprio questi ultimi a chiamarla “rubeola”, da ruber che in latino indicava il colore rossastro della sua crosta a fine stagionatura; mentre il celebre autore Plinio Il Vecchio fu il primo a menzionarla nei suoi scritti per raccontarne il processo produttivo.

Oggi, a vigilare sulla corretta produzione di questo formaggio, che raggiunge le 400 mila forme annue, è operativo il Consorzio della Robiola di Roccaverano DOP, presieduto da Fabrizio Garbarino:

«Sono 17 le aziende affiliate, 14 delle quali lavorano su tutta la filiera di produzione del formaggio – spiega il presidente. – Si tratta soprattutto di aziende agricole a carattere famigliare che con il loro lavoro e le loro greggi non solo danno vita a un prodotto d’eccellenza ma contemporaneamente tutelano costantemente il territorio di origine».

Per capire la qualità di questo prodotto, è sufficiente sapere che da marzo a novembre il bestiame viene rigorosamente alimentato solo al pascolo, mentre nei mesi invernali sono ammessi mangimi e foraggi provenienti dal territorio di produzione per almeno l’80%.

Abbiamo chiesto al presidente come si presenta al gusto e alla vista la Robiola di Roccaverano DOP.

«Fresco o stagionato – prosegue Garbarino – questo formaggio a pasta bianca e morbida ha un sapore che può variare dal delicato fino al deciso. La forma ha un diametro compreso tra i 10 e i 13 cm e lo scalzo dai 2,5 ai 4 cm. Il peso varia dai 250 ai 400 grammi circa. Le Robiole fresche, che richiedono un periodo di maturazione da 4 a 10 giorni, si presentano prive di crosta, arricchite dalla presenza di una lieve fioritura naturale di muffe, di consistenza morbida e cremosa e sapore delicato, leggermente acidulo. Le stagionate, invece, affinate minimo 10 giorni, presentano una crosta di colore paglierino rossiccio, con muffe naturali, consistenza più compatta e cremosa sotto la crosta.»

Come consumarla e quali vini abbinare

I cultori della Robiola di Roccaverano DOP la preferiscono da sola o al massimo condita con un filo di olio buono e peperoncino; ma può anche trasformarsi in un meraviglioso ingrediente per ricette golose (anche per questo il Consorzio ha appena elaborato un ricettario con oltre 30 idee dolci e salate).

Per l’abbinamento al vino si consigliano i terroir dell’Astigiano e del Monferrato, ma non si escludono piacevoli incontri con i grandi vini di altre regioni d’Italia. Naturalmente appena possibile, vi consigliamo di fare una gita proprio a Roccaverano dove, nella piazzetta municipale, è attiva la Scuola della Robiola, punto d’incontro tra consumatori e produttori che in molte occasioni ha consentito ai consorziati di raccontare al pubblico il loro formaggio caprino e la loro vita in langa.