Il riuso in cucina, antica tradizione popolare che ha fatto di necessità, virtù

Il riuso in cucina è un’antica tradizione popolare, tipica di una cucina povera, dei contadini e delle classi subalterne che “creavano” ricette con ingredienti semplici e genuini, rispettosi della tradizione locale, della stagionalità e della disponibilità di risorse.

All’origine di una cucina che vede protagoniste materie prime come pane, pasta, carne, verdure e frutti si pongono profonde questioni storico-antropologiche, oltreché linguistiche.

Jack Goody ricorda che la cucina è fatta di ingredienti ma anche di riti e di espedienti finalizzati, soprattutto nel passato, a fronteggiare la scarsità e massimizzare le risorse, aspetti coessenziali, il cui intrecciarsi va studiato nella concretezza dei processi storici.

Storia della cucina “povera”

Se il regime alimentare contadino non poteva dirsi né vario né bilanciato sotto il profilo nutrizionale, in alcuni casi poteva risultare comunque abbastanza ricco e abbondante. Nel passato, gli ingredienti della cucina popolare, o “povera” come oggi si definisce, erano quelli che si trovavano per lo più nell’orto di casa.

La cucina povera ha una tradizione antica, è quella del popolo, dei contadini, delle classi subalterne. Attraverso le sue ricette, i suoi piatti e le sue infinite combinazioni era espressione dell’arte della cucina che si mescolava con l’arte dell’arrangiarsi. Comprendeva ricette preparate con ingredienti semplici e genuini, rispettosi della tradizione locale, della stagionalità e delle ricorrenze legate al ciclo della vita e dell’anno. Faceva ricorso a ciò che era disponibile in casa, compresi gli avanzi dei giorni precedenti e, anche per questo motivo, richiedeva poca spesa e molta fantasia.

Il contadino faceva affidamento su di un’economia di auto-consumo; raramente faceva ricorso al mercato o “cavava” la moneta dal portafoglio che, peraltro, nemmeno c’era. Le uniche differenze cui non poteva sottrarsi erano legate alla stagionalità dei prodotti ed erano tanti i piatti che si basavano sulla freschezza degli ortaggi e sulla bontà del pane.

Per intere generazioni il pane, anche raffermo, il formaggio e poco altro hanno costituito il pasto regolare, tanto più ricco quanto più si poteva accompagnare con una cipolla, qualche oliva e un buon bicchiere di vino. Non sorprende che in Sardegna, presso le comunità agropastorali, fosse diffuso il detto: “pani e casu e binu a rasu” (pane e formaggio e un bicchiere colmo di vino).

Il calderone di rame

Al centro dell’universo alimentare contadino, a fare bella mostra di sé era l’onnipresente calderone di rame. Non c’era abitazione fornita di camino da cui questo non pendesse su un fuoco sempre acceso, la cui brace, una volta divenuta cenere, attraverso il calore, avrebbe garantito la cottura lenta di patate, uova e ceci. Nel pentolone le donne cuocevano di tutto: zuppe di legumi, minestre di verdure selvatiche e granaglie che con il pane costituivano i piatti ordinari, spesso frutto della combinazione sapiente e creativa di quanto era avanzato dai pasti precedenti.

Le vere custodi delle ricette reinventate e del sapore prezioso dei piatti rivisitati, erano le donne, presenze silenziose avvolte nei loro panni stinti e fulcro dell’economia domestica familiare a cui tutti rispondevano nell’ambito di una società che definiamo matrifocale.

Il pane: principe e simbolo dei riuso in cucina

La testimonianza più caleidoscopica della filosofia necessaria del riuso in cucina è, senza ombra di dubbio, quella del pane. Nella cucina degli avanzi è proprio quando si utilizza il pane, elemento povero e ricco allo stesso tempo, che emerge il tocco di qualità tipico della cucina contadina. E’ il pane di ieri, dell’altro ieri e dell’altro ieri ancora che si farà buono domani: basterà arricchirlo, accomodarlo di gusto, riutilizzandolo in ricette nuove e gustose.

Il pane di ieri è buono domani” si diceva un tempo presso le comunità agropastorali che avevano elaborato pratiche intelligenti di recupero e riciclo degli avanzi, mai concepiti realmente come scarti di cui disfarsi ma, al contrario, considerati un bene, una sorta di piccolo risparmio che, se custodito, avrebbe consentito di poterlo utilizzare successivamente quando se ne fosse presentata la necessità.

La Regola del Maestro (VI sec.)

Ne La Regola del Maestro, un’antica regola monastica dell’Italia centro-meridionale risalente al VI secolo, una disposizione riguarda le micae panis, le briciole del pane, che alla fine del pasto rimangono sulla tavola. Ai monaci si raccomandava di non gettarle via ma di raccoglierle e conservarle con cura in un barattolo di vetro pulito e asciutto, così da poterle riutilizzare al sabato per farne una torta, con l’aggiunta di uova e farina, da consumare tutti insieme, accompagnandola con una coppa di bevanda calda, dopo aver reso grazie al divino.

Un aneddoto che ci permette di comprendere meglio come ciò che poteva sembrare definitivamente perduto, le briciole del pane per esempio, potesse diventare una risorsa successiva, attraverso una trasformazione quasi alchemica della materia da cui sarebbe scaturito una sorta di risparmio e di guadagno sul quale poter ancora contare.

A questo proposito Massimo Montanari, nel libro “Il sugo della storia” ci fa notare come, in Belgio, sia possibile ordinare un piatto che in lingua francese è chiamato pain perdu, “pane perduto”, una vera e propria leccornia preparata con pane raffermo, “ravvivato” con uova sbattute, farina, zucchero e un poco di burro. Questo piatto, che a ben guardare presenta dei corrispettivi anche in Italia e in Spagna e che somiglia  non troppo lontanamente alla torta di briciole dei monaci, in lingua fiamminga è detto gewinnen brood e cioè “pane guadagnato”. Due nomi solo apparentemente opposti nelle due lingue ufficiali belghe. In realtà, avverte Massimo Montanari, si tratta delle due facce della stessa medaglia che lascerebbe intendere che, anche laddove qualcosa si perdesse, la freschezza e la fragranza de pane del giorno prima, la si potrebbe tuttavia ritrovare successivamente in altra forma, con una nuova vita e nuova golosità e quando ciò accade è tanto di guadagnato.

L’importanza del pane nella cucina popolare ha avuto verosimilmente una duplice origine: da una parte la semplicità dei ceti sociali meno abbienti e contadini e dall’altra, l’usanza di distribuire alla servitù o ai poveri gli avanzi delle mense dei signori. Il pane, comunque sia, era onnipresente in entrambe le realtà e, se in campagna a determinarne la presenza era la penuria di altri ingredienti e pietanze, in città al contrario erano l’opulenza delle abitudini nobiliari come pure il commercio delle farine a favorirne la diffusione.

In Italia, come altrove, sono state la tradizione regionale e l’immensa fantasia delle donne, unita ai bisogni e alle carenze economiche ad averci insegnato molto in ambito alimentare, motivo per cui oggi siamo ancora in grado di portare a tavola ricette antiche, economiche che, contestualmente, ci consentono di riscoprire e rivivere i sapori del passato.