Il Caffè può essere sostenibile? La risposta è nella permacoltura

La permacultura applicata al caffè prevede pratiche agricole basate esclusivamente su metodi naturali e sostenibili, non solo a impatto zero ma con un bilancio di anidride carbonica passivo. Lo stesso avviene nel commercio e nel resto delle filiera per arrivare ad una tazzina “equa” e dalle qualità organolettiche eccellenti

Una delle ombre più scure e tetre che, ancora oggi, grava sulla diffusione del caffè è lo strascico della pratica dello schiavismo. Se, nel corso dei secoli, i ricchi e potenti coloni avessero dovuto impegnarsi personalmente nel dissodare la terra, lavorare in piantagione per concimare, proteggere, potare, irrigare e raccogliere le drupe mature per poter assemblare un raccolto, probabilmente non l’avrebbero fatto e oggi noi non berremmo la nostra amata bevanda.

Nonostante si affermi che oggi la schiavitù sia abolita, che lo schiavismo sia perseguito e tutti gli uomini siano liberi, purtroppo nella realtà questa è soltanto una bella favola perché le cose sono ben diverse e i coltivatori di caffè ancora oggi fanno la fame. I proventi che ricevono dalla vendita del raccolto, a volte non coprono nemmeno le spese e, comunque, quasi sempre non giustificano le grandi fatiche e l’impegno profuso.

Lo schiavismo nel mondo del caffè: cause ed effetti

Lo schiavismo nel settore caffeicolo, nei secoli, ha permesso guadagni enormi e la crescita smisurata di alcune categorie come i coffee trader; con la quotazione di Arabica e Robusta in Borsa, inolre, ne hanno beneficiato anche gli operatori finanziari e i Fondi di investimento.

Sovente, per paura di ritorsioni o di non riuscire a piazzare il raccolto, i coltivatori sono forzati a venderlo a condizioni di strozzinaggio al punto che il sostentamento non è assolutamente garantito. Cercano quindi altre opzioni: colture alternative, legali o illegali (vedi il qat in Ethiopia), o ancora peggio, abbandonano la campagna per recarsi nelle città dove si trovano di fronte ad un ambiente sconosciuto, ostile, difficile e privo di opportunità di lavoro con la conseguenza che vengono spinti ad alimentare la microcriminalità. Tutto ciò portando a una lenta, inesorabile, irreversibile erosione di tante piccole, importantissime, realtà sociali e culturali; etnie indigene che spariscono, storia, tradizioni, culture che non hanno più possibilità di essere tramandate; ambienti rurali agricoli che diventano o tornano selvaggi.

Per questo motivo, alcuni mesi fa ho accettato con piacere di prendere parte ad un progetto lanciato da un’organizzazione che si occupa di fare formazione a coltivatori di diversi Paesi affinchè possano avere un’idea chiara dell’utilizzo, dei canali commerciali e, soprattutto, del valore commerciale dei loro raccolti una volta sbarcati in Europa. Inoltre si prodigano e si occupano attivamente della nascita di scuole a livello locale.

La speculazione degli operatori finanziari

Quando viene immesso sul mercato un nuovo raccolto di caffè, la nuova, ampia disponibilità porta all’abbassamento del prezzo e delle quotazioni di borsa. Sfruttando le disponibilità economiche, i Fondi d’investimento, dopo aver investito a livello borsistico, ne acquistano grandi quantitativi a prezzi bassissimi ma solo sulla carta perché materialmente non ritirano la merce.

Tale comportamento determina una riduzione drastica della quantità di caffè disponibile sul mercato, che a sua volta genera aumento del prezzo e delle quotazioni borsistiche con ampie possibilità speculative ai sopracitati operatori finanziari.

La speculazione praticata dagli operatori finanziari, sia con operazioni di Borsa che con compravendite del prodotto stesso, grava sui coltivatori che continuano a subire, di fatto, una situazione di schiavismo perché hanno poca o nulla forza contrattuale e non sono nelle possibilità di richiedere (pretendere e ottenere) un giusto corrispettivo per il loro prodotto perché non hanno un’indipendenza economica e non riescono mai ad accantonare risparmi da reinvestire o in previsione di annate scarse. Viceversa, un loro giusto riconoscimento limiterebbe nettamente la possibilità di speculazioni.

Altre problematiche nel commercio del caffè

Ma le ataviche piaghe dello schiavismo e della speculazione non sono le uniche cause che minano seriamente il commercio del caffè.

Un altro problema, infatti, è rappresentato dal trasporto del prodotto che arriva in Europa da altri continenti con un viaggio che può durare anche oltre 20 giorni nelle stive nelle navi generando un forte impatto ambientale. Al momento alternative non ve ne sono: questa è l’unica possibilità, anche se se non si può escludere che in futuro, per effetto degli sconvolgimenti climatici, si potrà coltivare il caffè in Sicilia dove in effetti si stanno già tentando colture sperimentali.

Oltre a tutto questo, e come se non bastasse, negli ultimi anni tanti torrefattori (il cui compito dovrebbe essere selezionare, tostare e vendere il caffè) si vantano di girare il mondo per visitare le piantagioni. Voli, trasferte e costi vari per acquistarne – magari – soltanto una decina di sacchi o ancora meno, generano un ulteriore, terribile, impatto ambientale. Nello stesso tempo le spese sostenute determineranno un aumento di prezzo per il trasformatore (barista o ristoratore) e quindi per il consumatore finale.

La permacoltura per un sistema agricolo sostenibile

Corre l’obbligo morale di individuare soluzioni per rendere meno impattante possibile la nostra amata bevanda nera, di cercare una via che sia sostenibile dal punto di vista dell’equità di commercio di coltivatori, produttori e consumatori, ma anche dal punto di vista dei danni arrecati all’ambiente.

Una strada percorribile, forse al momento l’unica, si chiama permacultura ed è un quadro di riferimento per un sistema agricolo sostenibile applicabile anche alla coltivazione e al commercio del caffè.

Ideata nel 1974 in Australia da Bill Mollison e David Holmgrem, la permacoltura è un concetto ampio che riguarda la coltivazione, il ripristino degli ambienti naturali, gli ecosistemi e la distribuzione delle risorse intesa come divisione degli utili ma anche attraverso un sistema di riduzione degli scarti. Contemporaneamente, mira a preservare e incrementare la fertilità dei terreni e la biodiversità degli ecosistemi, il tutto tenendo conto della gestione delle acque, della gestione dell’energia ma anche del sostentamento e della qualità della vita delle stesse comunità che vi si dedicano.

Permacultura applicata al caffè: per una bevanda equa e di qualità

Un’importante conferma alle mie convinzioni è arrivata quando sono venuto in contatto con il responsabile di un’organizzazione senza scopo di lucro con sede in Perù che, dal 2016, promuove un progetto di permacultura applicato al caffè che riguarda una piccola comunità di indigeni peruviani di circa diecimila persone.

Il loro caffè a coltivazione 100% in permacultura viene ottenuto in assenza di trattamenti chimici e con l’utilizzo di soli metodi naturali e sostenibili, a impatto zero, anzi: con un bilancio di anidride carbonica passivo (una coltivazione che ha inquinamento zero e sequestra CO2 dall’ambiente!).

Il risultato della permacoltura applicata al caffè è un prodotto eccellente e che, grazie al commercio diretto e senza intermediari, garantisce ai produttori proventi netti pari al doppio dell’importo stabilito dal commercio equo e solidale, con guadagni sufficienti al loro sostentamento e all’accantonamento di piccoli capitali per garantire la loro sopravvivenza, la formazione scolastica alle nuove generazioni, investimenti per miglioramenti ed ampliamenti alle coltivazioni, allargamenti in campo colturale per estendere il concetto anche ad altre colture e produzioni.

In fondo i principi fondamentali della permacultura sono: cura della Terra, cura degli esseri umani e condivisione delle risorse in eccesso. Se poi aggiungiamo che la qualità del prodotto in termini organolettici, ma anche della sua salubrità, è altissima, ecco che questo chiude perfettamente il cerchio.