Il settore della miscelazione è sempre più spettacolare e, spesso, il bancone del bar si trasforma nel teatro di bartender esperti. Ma, oltre alla loro competenza e abilità, quali sono gli attrezzi di cui hanno bisogno per esprimersi? Sicuramente lo shacker è fondamentale.
Articolo di William Casalini
In ogni settore, gli strumenti professionali si modificano e si evolvono nel tempo. Cambiano le mode ma anche le forme, i materiali e le modalità di utilizzo dei vari oggetti di lavoro. Pensiamo, ad esempio, al mondo dello sport, in cui nell’ultimo mezzo secolo, tecnologie e dinamiche professionali sono state rivoluzionate per raggiungere prestazioni più performanti e significative.
Non fa eccezione il mondo del bar che ha registrato anch’esso dei cambiamenti anche se, rispetto ad altri contesti, la tendenza è opposta. Infatti, si preferisce ritornare indietro nel tempo per seguire stili di lavoro retrò che creano magiche e cinematografiche atmosfere. La sensazione è quella di voler rivivere gli anni trenta, quelli del proibizionismo americano, che abbiamo conosciuto in tanti film in bianco e nero, popolati da gangster e pupe.
Gli stessi strumenti del bartender non sono cambiati moltissimo e, seppure con fogge particolari, conservano immutato il loro fascino. Scopriamo quali sono, partendo da quello che più caratterizza la professione del barman: il cocktail shaker o semplicemente shaker.
Il cocktail shaker: origini, evoluzioni e tipologie
Il cocktail shaker compare per la prima volta nel 1871 quando William Hernett presenta, all’ufficio brevetti di New York, la richiesta di registrazione di un oggetto per miscelare le bevande. Il periodo non è casuale in quanto, proprio alla fine dell’800, si sviluppa l’arte di combinare differenti prodotti e nascono i primi ricettari dedicati ai cocktail.
Uno dei personaggi più rappresentativi del momento è Jerry Thomas che, dal 1860 fin quasi alla fine del XIX secolo, lavora dietro i banconi dei fumosi e affollati bar americani e diventa – per talento e innovazione – il padre della moderna mixology.
Caratteristiche e tipologie di shaker
Lo shaker va preferibilmente scelto in acciaio inox, materiale resistente e che non si deforma nonostante le continue sollecitazioni cui viene sottoposto. L’acciaio, inoltre, è un cattivo conduttore di calore e, come accade nelle lattiere utilizzate per la montatura del latte destinato al cappuccino, consente al barman di percepire la reale temperatura della bevanda.
Le principali tipologie di questo attrezzo sono tre:
- cobbler shaker o continentale;
- Boston shaker;
- shaker parisienne o bullet shaker.
Cobbler shaker, detto anche continentale o tradizionale
Il classico shaker che tutti conosciamo prende il nome di “continentale” o “cobbler” ed è composto dalle seguenti tre parti distinte:
- il tin, la parte inferiore dove vengono versati ghiaccio e ingredienti da miscelare;
- il filtro, che va incastrato sopra il tin ed è costituito da un tappo forato per separare il cocktail dal ghiaccio;
- il tappo vero e proprio, da appoggiare sul filtro per evitare che il liquido fuoriesca durante l’agitazione.
All’inizio degli anni novanta, quando il flair bartending si è insinuato nel mercato europeo con nuove tendenze e nuovi prodotti, lo shaker continentale è stato messo in secondo piano perdendo il titolo di icona del barman, forse anche a causa di alcuni difetti di progettazione. Infatti, nel caso di shakerata troppo energica, si può avere difficoltà ad estrarre il tappo per effetto della dilatazione dell’acciaio a contatto con il ghiaccio.
Oggi il cobbler si utilizza principalmente per preparare caffè freddo poiché, grazie alla sua conformazione, crea una crema persistente e compatta, e per cocktail a base di panna che risulterebbero meno appetibili se agitati in uno shaker di vetro.
Boston shaker, l’iconico strumento di Tom Cruise in “Cocktal”
Negli anni novanta, con una decina d’anni di ritardo rispetto al mercato statunitense, nei bar e nelle discoteche di tutta Europa si impone prepotentemente il flair bartending, anche grazie anche al successo di “Cocktail”, il film con Tom Cruise che è diventato pietra miliare della cineteca personale di ogni bartender che si rispetti.
Il mondo del beverage in generale diventa più veloce, più frenetico e colorato. Si evolvono anche gli attrezzi di lavoro, le tecniche di miscelazione e le preparazioni che rispecchiamo le mode, la musica e le passerelle di tutto il mondo. I barman diventano i personaggi centrali del locale, con movimenti spettacolari ed acrobatici che sfiorano a volte la giocoleria e che sono alla base del flair bartending.
In questo periodo, lo shaker cambia forma ma resta immutato nei materiali. Quello continentale lascia il posto al Boston shaker, un oggetto creato per realizzare più drink contemporaneamente, con velocità e gesti coreografici.
Il boston shaker è composto da due parti:
- un tin di metallo, molte volte calibrato con un peso sul fondo per poterlo far roteare nei lanci;
- un mixing glass, grosso bicchiere di vetro o di metallo.
Nel tin viene inserito il ghiaccio per poter raffreddare i liquidi, mentre il mixing glass accoglie tutti gli altri ingredienti che, fino al momento della miscelazione, restano separati per non annacquare il cocktail. Il ghiaccio verrà filtrato dall’acqua in eccesso, prima di shakerare.
Il vantaggio del boston rispetto allo shaker continentale risiede nella maggiore capienza e nel fatto di avere due pezzi, anziché tre, velocizzando il lavoro del barman.
Shaker parisienne o bullet shaker
Oggi si assiste ad un ritorno al passato, agli albori dell’arte della miscelazione. Sono state introdotte, infatti, attrezzature con un design che richiama l’art deco, con intagli e decorazioni vistose a forma di V, zigzag o scacchi e caratterizzate da curve molto vaste. I materiali sono acciaio e alluminio. Anche lo shaker si è evoluto, ha modificato radicalmente il proprio modo di essere ma conservando l’attitudine a miscelare differenti ingredienti.
Verso la fine del primo decennio degli anni duemila, fa la propria apparizione lo shaker parisienne o bullet shaker (per la forma simile a quella di un proiettile). Le linee sono morbide ed orientaleggianti, i colori caldi come il rame e l’oro.
Pur ricordando nella forma il cobbler, lo shaker parisienne è composto da soli due pezzi perchè il filtro è stato eliminato ed il tappo è fisso.
Il suo uso è semplice. La parte inferiore in acciaio o tin viene colmata di ghiaccio; su di essa viene inserita – ad incastro – la parte superiore in modo che possa accogliere i liquidi da mescolare, senza che entrino in contatto con il ghiaccio. Poco prima di servire, si procede a unire ghiaccio e liquidi e a shakerare.
Come si esegue la miscelazione?
Conosciute le tipologie di shaker, una domanda sorge spontanea: qual è il modo corretto per effettuare la miscelazione? E quando bisogna utilizzare questa tecnica di lavoro?
Il termine shaker deriva dal verbo anglosassone “to shake” ossia agitare e questa operazione va eseguita tutte le volte in cui la ricetta contenga elementi di difficile miscelazione come, ad esempio, sciroppi o prodotti molto zuccherini.
Per quanto riguarda il momento dell’agitazione va ricordato che, in caso di errore, dovrà sempre essere il bartender a bagnarsi i vestiti e mai il cliente. Proprio per questo motivo, la shakerata non va eseguita frontalmente, rivolgendosi verso il bancone e gli avventori, ma lateralmente.
Si parte con lo shaker appoggiato sul bancone e si eseguono le seguenti fasi:
- con il pollice della mano che diventerà il braccio primario, si tiene il tappo oppure il mixing glass, nel caso si utilizzi il boston;
- si inclina leggermente lo shaker per poter afferrare l’estremità opposta dell’attrezzo con indice e medio dell’altra mano;
- si abbraccia lo shaker con entrambe le mani, per avere maggiore presa, e si solleva all’altezza delle spalle. A questo punto, si inizia ad agitare con le braccia in posizione laterale. Si devono compiere movimenti circolari per amalgamare al meglio tutti gli ingredienti;
- le gambe vanno tenute divaricate all’altezza delle spalle e, per acquisire un equilibrio stabile, si punta verso l’esterno il piede opposto al braccio primario, quindi nella direzione in cui si dirige lo shaker.