Caffè dolce o amaro? Ecco perchè non esiste una risposta sempre valida!

La bevanda più amata nel mondo, va edulcorata o meno? Ed eventualmente quale zucchero usare: raffinato, di canna, integrale, fruttosio, saccarina o stelvia? Nella questione intervengono diverse variabili di cui si deve tener conto.

Se il caffè vada degustato dolce o amaro è una domanda annosa e sempre attuale. Parrebbe non esserci una posizione assoluta e unanimemente riconosciuta come giusta; inoltre, diverse variabili intervengono in questa questione e non possiamo prescindere da alcune considerazioni basilari.

La tostatura del caffè e le sue evoluzioni

Negli ultimi decenni, l’espresso è profondamente evoluto e continua a cambiare. In passato, nelle miscele era frequente trovare un profilo di tostatura spinto che ingenerava una sensazione amara piuttosto accentuata. Questo procedimento era funzionale all’ottenimento di una bevanda di corpo importante e grande intensità ma, in verità, spesso serviva anche a nascondere i difetti che sarebbero emersi da una tostatura più equilibrata e chiara.

Oggi il profilo di tostatura si sta “ingentilendo”, la qualità media del prodotto da lavorare sembrerebbe migliore e quindi, logicamente, la tostatura dovrà portare maggior rispetto ad un caffè più pregiato, più complesso e più aromatico. Lo stesso rituale dell’espresso si sta evolvendo e quella che era soltanto un’abitudine, sta diventando un vero e proprio rito edonico alla ricerca del piacere che il caffè deve regalare.

Non voglio assolutamente entrare nel campo soggettivo del rito, vario e personalissimo, del caffè. Ognuno ha i suoi gusti – sacrosanti – e deve mantenerli e soddisfarli, quindi si beva espresso per ricevere piacere, questo è il fine ultimo. L’espresso deve regalare godimento, non nutre e non è un alimento necessario, deve soddisfare i gusti personali di ognuno e, in questo, io non posso mettere parola.

Tuttavia, se parliamo di valutazione oggettiva e non soggettiva, di analisi sensoriale, di determinazione obiettiva della qualità di un grano, di un’origine o di una miscela estratti in espresso, allora le cose cambiano.

Il profilo aromatico dell’espresso

Il profilo di tazza di un espresso potrebbe (dovrebbe) essere piuttosto ampio e complesso. Addirittura si parla di una complessità superiore anche ai grandi vini rossi per la presenza di oltre 2000 differenti molecole aromatiche. Tra queste, ve ne saranno alcune in concentrazione tale da essere percepite in maniera netta e dominante ma, possibilmente e probabilmente, ve ne saranno altre in concentrazione molto minore, magari bassissima, e quindi molto più difficilmente percepibili.

Nell’ambito delle molecole aromatiche molto concentrate nei soli 30ml di un espresso, si potrebbero avere sensazioni meravigliose, soavi, suadenti e amabilissime ma anche piccoli difetti, tali da penalizzare drasticamente la qualità della bevanda in esame.

La tostatura, ad esempio quella tipica per espresso italiano, tende a ingenerare una sensazione amara percepibile, e inevitabile per la caramellizzazione degli zuccheri a sua volta accentuata dall’amarezza della caffeina presente nel chicco. Questa nota amara potrebbe “coprire” e nascondere altre sensazioni magari più lievi e delicate come quelle di meravigliosi aromi di fiori e/o frutti che il degustatore vuole cogliere. Nello stesso tempo, la tostatura potrebbe far emergere anche piccoli difetti e allora è obbligatorio coglierli, soprattutto se si sta facendo analisi sensoriale. Per queste ragioni la degustazione di un espresso con o senza zucchero potrebbe dare esiti differenti.

Secondo il mio parere poco zucchero, quanto basta a bilanciare la naturale amarezza del caffè tostato (deve essere comunque lieve e moderata), può aiutarmi nell’analisi sensoriale.

Quale zucchero usare nel caffè?

La questione è ancora aperta, secondo me. Solitamente tendiamo a consumare il famigerato zucchero di barbabietola semolato su cui non vorrei aprire un’ulteriore discussione.

La dolcificazione con zucchero semolato

Non ho l’autorità e nemmeno le conoscenze sufficienti ma posso, certamente, dichiarare che dolcificare l’espresso con zucchero semolato potrebbe (e solitamente succede) creare quella sensazione “calcarea” “polverosa”, quasi “gessosa” che gli anglosassoni definiscono, appunto, “chalky”. Questa percezione, però,  potrebbe essere anche un difetto dello stesso caffè ma allora, nella fase di degustazione, come si può capire se proviene dal caffè o dallo zucchero utilizzato? La risposta è semplice: dovrò utilizzare uno zucchero non semolato!

Lo zucchero di canna e il fruttosio

La mia opinione è che uno zucchero di canna poco aromatico e non troppo grezzo (scegliendo bene quale abbinare con prove ed assaggi) sia quello che permetta la miglior analisi sensoriale, valorizzando (se scelto bene) gli aspetti gusto-olfattivi del caffè, ma senza stravolgerli.

Taluni degustatori, anche esperti, prediligono il fruttosio, che dà una cortissima persistenza del sapore dolce dopo la deglutizione, e sostengono inoltre che è un prodotto naturalmente presente nella frutta. Ma, anche in questo caso, vi sono dei ma…

Se usiamo fruttosio per zuccherare un espresso, a meno che non siamo abituati, la brusca caduta della dolcezza dopo la deglutizione potrebbe determinare un “condizionamento psicologico” e far percepire una “pseudoamarezza” creata dal cervello più che dai sensi stessi e, quindi, potrebbe condizionare l’analisi sensoriale.

Sempre sul fruttosio, va considerato che la molecola naturale, pare, sia edibile senza alcun effetto collaterale negativo mentre il fruttosio sintetizzato in laboratorio, secondo alcuni medici, sarebbe addirittura cancerogeno.

Stevia rebaudiana: zero calorie e alto potere dolcificante

Grande simpatia ho invece per la Stevia rebaudiana delle cui foglie è stato sempre fatto un consumo inteso da parte dei popoli della valle del Rio Monday, a nord-est del Paraguay, di cui è originaria la pianta. Ancora oggi viene largamente utilizzata in quanto è una delle foglie che compongono il Matè e in tanti secoli, non sono mai stati rilevati effetti collateriali negativi.

In riferimento alla varietà Rebaudiana, che prende il nome dal chimico Ovidio Rebaudi che per primo ne studiò le proprietà edulcoranti, va rilevato che le molecole stevioside, dulcoside, rebaudioside A e C contenute nelle sue foglie, hanno zero calorie ma un potere dolcificante da 110 a 400 volte maggiore del saccarosio.

Quindi è un ottimo prodotto, secondo me, ma dal profilo sensoriale piuttosto complesso, e leggermente balsamico, per cui richiede prove e valutazioni sugli aspetti gusto olfattivi dell’abbinamento.

Dolcificanti ipocalorici? No, grazie!

Sono fortemente contrario, infine, al consumo di altri dolcificanti ipocalorici in commercio il quale è servo della grande industria per la quale la legge autorizza la vendita di prodotti talvolta tossici, nocivi e cancerogeni.