Cantine e lockdown: ripartire dal vino

In Cantina Monteversa ci raccontano cosa vuol dire produrre vino in ex zona rossa Covid con consapevolezza, rispettando il territorio, la tradizione e l’ambiente perché «alla fine, sulla terra siamo di passaggio, è molto importante sapere che non è un bene nostro ma un bene di tutti».

Monteversa è una piccola cantina nel cuore del Parco dei Colli Euganei ed è un luogo dove della natura si ha una cura particolare.

A gestire quest’azienda interamente biologica (25 ettari di cui 17 coltivati a vigneto) è Giovanni Bressanin, un Virgilio vignaiolo che ci ha guidato in una visita appassionata e dettagliata raccontandoci come ogni vino prodotto qui parli di terroir e tradizione.

Per questo appassionato viticoltore, il vino è una cosa semplice e bisogna saperlo prendere e trattare in modo diverso a seconda delle sue peculiarità: i vini giovani hanno bisogno anche di sculacciate, i vini con qualche anno sulle spalle necessitano di cura e attenzione nel servizio.

Cantina Monteversa: la ripresa dopo il lockdown

Monteversa si trova a Vo’ Euganeo, zona vocata alla coltivazione della vite da cui nascono una DOC (Colli Euganei) e una DOCG (Colli Euganei Fior d’Arancio) ma anche territorio dichiarato zona rossa per essere stato uno dei primi focolai Covid d’Italia.

Dopo la battuta d’arresto obbligata, la produzione è ripartita con tenacia e con la volontà di recuperare il tempo perduto valorizzando ancora meglio territorio e tradizione.

Intervista a Giovanni Bressanin

Abbiamo chiesto a Bressanin di raccontarci l’esperienza dell’azienda Monteversa ed in particolare come ha gestito il momento in cui la cantina si è trovata al centro del primo focolaio Covid-19 in Italia.

Giovanni puoi raccontarci come si è sviluppato il cambiamento del lavoro in cantina con l’ordinanza che ha imposto il lockdown?

«È cambiato completamente. Certamente è stato un momento molto difficile e impegnativo anche perché vedere il tuo paese, dove ha sede l’azienda per la quale lavori, completamente bloccato dai presidi militari, è una cosa che fa pensare. Questo, però, ha fatto sì che avessimo più tempo da dedicare al vigneto.»

Un settore che ha certamente subito variazioni è quello distributivo. Cosa puoi dirci su questo aspetto?

«La nostra azienda lavora con il settore Horeca, questo vuol dire ristorazione, enoteche e wine-bar che hanno subito una grave perdita. Di riflesso l’abbiamo sopportata anche noi perché, realizzando un prodotto di qualità, abbiamo scelto determinate tipologie di distribuzione. Con i ristoratori stiamo facendo squadra cercando di consumare più prodotti del territorio e credo che questo sia un aspetto molto importante.»

Come ha influito sulla vostra realtà aziendale il fatto di essere dichiarata zona rossa?

«Ribadisco che è stato un colpo forte, siamo stati la prima zona rossa a livello italiano da fine febbraio e poi via via è partito tutto. I presidi militari e i posti d blocco all’entrata del comune è una cosa che non auguro a nessuno di vedere, sembrava di essere prigionieri; non potevamo nemmeno entrare all’interno dell’azienda e lavorare. Sono state cose che credo ci porteremo dentro; dobbiamo essere consapevoli di quello che è successo e farne tesoro, dobbiamo tirarci su le maniche.»

Cosa pensi che questo periodo abbia insegnato agli imprenditori?

«Che sicuramente ci vuole una cura maggiore, maniacale, sul terreno e sul vigneto, ci vuole grande amore. Noi abbiamo la fortuna che producendo vino ogni anno dobbiamo confrontarci con cambiamenti climatici diversi, il tempo non sarà mai lo stesso di anno in anno e ogni giorno ci troviamo ad affrontare nuove scelte. Penso che dobbiamo far tesoro di quello che è successo, per cercare di avere ancora più rispetto della terra, per realizzare prodotti sempre più sani, per un’alimentazione sempre migliore».

C’è qualcosa che credi possa essere migliorato ancora?

«Si, sicuramente la forza di volontà, l’aiuto delle istituzioni e cercare di fare squadra tra noi aziende con un po’ di patriottismo, rimboccandoci le maniche per rispondere agli effetti di quello che è successo.»

Cosa invece pensi che si sia perso completamente?

«Penso che si sia perso completamente il 2020 a livello commerciale, tutte le manifestazioni, le vendite, sicuramente dobbiamo cercare di uscire da questa situazione».

Parliamo di vino. Vorrei che mi raccontassi un po’ del territorio e della tua azienda.

«La nostra fortuna è di essere a Vò, nel cuore del Parco dei Colli Euganei; se non avessimo questo territorio non avremmo potuto produrre un vino di qualità. I colli sono una zona vulcanica con una bella storia. 135 milioni di anni fa sono sorti questi vulcani con morfologie e aree diverse, ed è sempre stata coltivata la vite. Monteversa è nata nel 2010 e conoscevo già questi terreni particolarmente vocati; ci troviamo sul cucuzzolo del colle in un’area sempre ventilata. Tale ventilazione naturale porta alla riduzione di trattamenti in vigna e infatti il quantitativo di zolfo e rame previsto dal biologico è ridotto a meno della metà.» 

Quali vigneti coltivate e quali vini ottenete?

«Per i bianchi, Moscato giallo, Manzoni, Chardonnay e Garganega mentre per i vini rossi alleviamo Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Carmener e, naturalmente, Moscato Fiori d’arancio. I nostri vini ricordano i terreni su cui insistono le viti ma soprattutto il vitigno e credo che questo sia fondamentale, perché è da lì che si parte. Da lì e dalla tipologia di terreno che conferisce sapidità e quella nota minerale che identifica la zona. Monteversa produce due rifermentati in bottiglia, uno da un vigneto di Glera che ha circa 50 anni e uno da Moscato. La bottiglia Versavò è un bianco prodotto con Manzoni, Chardonnay, Moscato e Garganega; alla produzione si aggiungono un Manzoni e uno Chardonnay in purezza. Per i rossi produciamo bottiglie di taglio bordolese che sono uve presenti sui colli dalla fine dell’800, anche questo è un elemento importante perché ci suggerisce questa zona come storica per la presenza di vitigni bordolesi».