La patata Verrayes ottiene il presidio Slow Food

Il tubero valdostano, insieme ai mieli di alta montagna alpina, è la seconda tipicità regionale ad entrare in un parterre tanto importante

La patata Verrayes, coltivata in Valle d’Aosta, entra a far parte dell’assortita famiglia di prodotti a marchio Slow Food che raggiungono il numero di 342 in tutta Italia. Il tubero valdostano è ritenuto l’ultima varietà tradizionale coltivata dai produttori locali della piccola regione italiana.

Il suo aspetto caratteristico è definito da medie dimensioni, forma irregolare e spigolosa, lucente buccia viola (a volte screziata d’arancio) e una pasta gialla moderatamente farinosa. Adatta soprattutto per la preparazione di gnocchi e gratin, la patata Verrayes non delude nemmeno quando viene fritta o trasformata in purè.

Origini e storia della patata Verrayes

I semi della patata Verrayes arrivarono in Valle d’Aosta alla fine del 1700 anche se la sua coltivazione assidua iniziò nel 1817, anno in cui la popolazione locale fu costretta a ricorrervi per sfamarsi durante una grande carestia che colpì la regione. Il prodotto attecchì velocemente per la fertilità dei terreni ricchi di minerali e alle escursioni termiche tipiche di quei luoghi.

Il nome Verrayes deriva dal paese di provenienza di Giuliano Martignene, tecnico dell’assessorato Agricoltura della regione Valle d’Aosta che ebbe un ruolo importante nella diffusione di questa particolare patata. Fu proprio lui, infatti, ad ottenere nel 1998 alcuni tuberi provenienti da Covarey e li fece esaminare dalla fondazione svizzera “Pro Specie Rara” per verificarne l’autenticità.

Con l’avvento di nuove tipologie di tuberi più redditizie, le colture di Verrayes e di altre patate tradizionali passarono in secondo piano, fino alla loro quasi scomparsa come spiega Federico Chierico, referente dei produttori.

«Negli anni Novanta, la coltivazione di questa varietà di patata era ridotta al lumicino, prossima all’estinzione. Trattandosi di un tubero, basta sospendere la coltivazione per un anno e il seme si perde: per questa ragione tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento il nostro Paese ha perso un patrimonio immenso».

Diversamente la pensarono in Svizzera dove, negli anni Ottanta, venne creata la fondazione “Pro Specie Rara” per la ricerca e la catalogazione di questi tuberi. Grazie a ciò, oggi il Paese può vantare più di settanta varietà tradizionali di patate.

«Un tempo – continua Chierico – il cibo era considerato vita che si tramandava e si perpetuava di generazione in generazione sotto forma di saperi, scambio di semi e pratiche simboliche: molto di più di un semplice nutrimento. Storicamente, erano le donne a occuparsi del difficile lavoro di riproduzione delle varietà, della coltivazione e della trasmissione dei semi, inserendoli anche nei corredi nuziali per farli arrivare alle generazioni successive. Carichi di simboli, cura e significati».

Il risorgere di un’antica tradizione alpina

Oggi sono diversi i contadini che hanno deciso di investire nella patata Verrayes che i loro antenati si premurarono di far arrivare fino ai giorni nostri. L’ottenimento del Presidio Slow Food ha così il ruolo di far conoscere e apprezzare questa varietà e di spronare agricoltori e cittadini nel salvaguardare la biodiversità regionale.