Musica e cucina: la declinazione jazz del wine bar del Torrione Estense

Un’idea di cucina a metà tra il tradizionale e l’esotico, con una selezione attenta di materie prime di qualità scelte tra le piccole botteghe di quartiere. Siamo andati a intervistare Valentina Federici e Luigi Peluso, alla guida della cucina del Jazz Club di Ferrara

Il wine bar all’interno del Jazz Club di Ferrara è una misticanza di musica, arte, ricerca e raffinatezza, per descriverlo come se fosse un piatto servito nello storico contesto del Torrione San Giovanni, che da molti anni accoglie i ferraresi con concerti jazz di ampio respiro. 

Jazz Club di Ferrara: luogo di unione fra cibo e musica

Il Jazz Club si trova in una delle zone più evocative e storiche della città, nei pressi delle mura estensi di Piazza San Giovanni e all’interno del Torrione di San Giovanni, opera architettonica di fine ‘400 che fu destinata inizialmente a torre difensiva, riconvertita successivamente in magazzino e poi in polveriera, subendo un periodo di abbandono prima che tornasse in auge per ospitare la sede del prestigioso circolo musicale.

Salite le scale, superata una pesante porta di ferro all’ingresso, ci si trova in un’atmosfera dall’allure più parigina che emiliana, con luci soffuse a riempire uno spazio condiviso da quadri e strumenti musicali. Gli ambienti sono ampi, con il piano superiore dedicato ai concerti e quello inferiore al wine bar in cui è possibile cenare ascoltando il concerto in diretta e proiettato sulle pareti.

Intervista a Valentina Federici e Luigi Peluso

Con questa formula il Jazz Club ferrarese diventa un luogo di unione fra cibo e musica, un progetto culturale che vuole offrire un’esperienza diversa sotto diversi profili. Per capire meglio come nasce e si sviluppa questa proposta, abbiamo fatto due chiacchere con Valentina Federici e Luigi Peluso che, da quasi vent’anni, tengono vivi i fuochi della piccola cucina a vista, impegnandosi per il concetto di ricercatezza e accoglienza.

Parliamo delle origini del wine bar, com’è nato?

Qui non c’era nulla – racconta Luigi – giusto un tavolo di legno e un frigorifero, il vino poi veniva servito da taniche di 5 litri e noi venivamo a dare una mano, per poter assistere ai concerti senza pagare il biglietto. Se vogliamo individuare nel tempo un punto zero, possiamo dire che tutto è iniziato quando subentrò nella gestione Marco Jannotta, un artista ferrarese conosciuto anche per le sue grandi doti culinarie oltre che creative. Marco rese il posto più accogliente e curato, ci assunse insieme ad altri due ragazzi, facendoci turnare con il personale di un altro ristorante che gestiva al tempo.

E poi cosa è successo?

Tutta l’attrezzatura di oggi l’abbiamo acquistata con il passare degli anni. – prosegue Valentina – Il bancone del wine bar è frutto di una donazione e per il restante arredo c’è anche tanto riciclo. All’epoca degli esordi il piano superiore era chiuso, i concerti si svolgevano tutti al piano terra. Si suonava e si mangiava quello che c’era, è stato con il passare del tempo che abbiamo maturato l’idea di partecipare in modo più attivo, una scelta dettata anche dal fatto che Marco in quel periodo era preso dalle sue tante passioni e non aveva più la possibilità di tenere le fila del servizio. Un servizio davvero essenziale e poco studiato ma che faceva parte della sua grande esperienza gastronomica. I suoi piatti sono famosi e li ricordiamo sempre con affetto, come le polpettine di coniglio. Questo succedeva una quindicina di anni fa, in un momento in cui abbiamo sviluppato e definito anche la professionalità di tutti, la nostra come quella di Francesco Bettini, impegnato nella direzione artistica.

Come avete contribuito a delineare il profilo di questo wine bar?

Con la sperimentazione, soprattutto in passato, quando avevamo la possibilità di viaggiare e portare le nostre esperienze in tavola: tornavamo dai nostri viaggi in Asia con spezie con cui creavamo piatti diversi e non convenzionali, organizzavamo concerti abbinati alla cucina proposta, concerto di musica portoghese e gastronomia del luogo, musica indiana e piatti tipici di quel territorio. Appena tornati da Honk Kong abbiamo organizzato una serata di sole proposte cinesi a cui sono seguite serate iraniane e di cucina cambogiana. La nostra carta oggi unisce piatti della tradizione, quasi immancabili per chi fa ristorazione qui e proposte contrapposte, ora frutto della nostra mancanza di viaggi. I cibi sono evocativi, l’impossibilità di poter tornare in certi luoghi ti porta a ricordarne i sapori che proponiamo a chi sceglie di cenare qui, magari associandoli a qualcosa di locale per sperimentare come due gusti tanto diversi possano convivere nello stesso piatto. Inoltre tentiamo anche di contrapporci alle proposte più omologate e i clienti apprezzano.

Come create la vostra carta?

Per il nostro menù ci basiamo moltissimo sulla stagionalità dei prodotti e, nella scelta dei piatti, abbiamo cercato di dare un taglio legato alla tipologia di clientela che cambia in base al concerto in programma. L’idea è quella di non lasciare nulla al caso.

Nel menù sono presenti piatti della tradizione alternati ad altri che richiedono preparazioni più complesse. Come riuscite ad organizzare la cucina in spazi ridotti come quelli di una torre del 1400?

Abbiamo dovuto scegliere di offrire un servizio veloce e farlo in uno spazio tanto piccolo vuol dire organizzarsi al millimetro, con pochi piatti che e con una cucina ben strutturata, seppure piccola e a vista. Inoltre la nostra è una cambusa inesistente perchè facciamo la spesa ogni settimana. Questo, da una parte, è positivo perché compriamo le materie prime sempre fresche e di qualità ma dall’altra parte determina prezzi più alti per l’impossibilità dello stoccaggio, racconta Luigi.

Come selezionate i fornitori?

Negli anni – spiega Valentina – abbiamo imparato che è importante lavorare con fornitori di cui ti fidi, che ti indirizzano e che poi contribuiscono a creare il menù che proponi. Diciamo che abbiamo scoperto la magia del quartiere, di Piazza San Giovanni, perché qui intorno abbiamo tutto quello che ci serve. Poi capita che ci riforniamo da produttori di zone che visitiamo per piacere e che offrono prodotti tipici di quella regione ma sempre di grande qualità.

Ai vostri piatti avete deciso di abbinare una carta esclusivamente di vini naturali, c’è un nesso tra la filosofia della cucina e il calice?

Da anni abbiamo deciso di scegliere i vini naturali, all’inizio erano veramente difficili ed estremi ma con il tempo sono diventati più equilibrati e semplici anche da spiegare. Abbiamo scelto di andare contro ad una distribuzione industrializzata e di rimanere in linea con l’idea di utilizzare buone materie prime, prodotte nel rispetto della terra, la stessa cosa per i vini. I vini proposti in carta, sei rossi e sei bianchi più tre etichette di bollicine, provengono da cantine biologiche e biodinamiche, cambiano ogni mese e sono accomunati dalla volontà di proporre bottiglie in cui l’uva rimane la protagonista assoluta.

Qual è il vostro punto di forza e il vostro obiettivo?

Chi viene al Wine bar del Jazz Club di Ferrara – spiegano Valentina e Luigi – respira un’aria accogliente e positiva, anche informale, perché ci piace lavorare insieme, tanto da non sentire la pesantezza del lavoro in sé. Siamo tutti volontari che si impegnano nell’offrire il servizio migliore possibile per riuscire a rimanere aperti. Qui non ci sono persone necessariamente esperte di vino o servizio, non lo pretendiamo perchè l’obiettivo non è il profitto ,ma riuscire ad avere la possibilità di continuare il progetto. Siamo aperti a tutto quello che ognuno si sente di offrire che sia nel raccontare un vino, un piatto o nella gestione della sala. Puntiamo al miglioramento continuo, cercando di alzare sempre l’asticella e dare qualcosa in più alla fruibilità del posto anno dopo anno, anche solo per una stagione che per noi è il periodo che va da ottobre ad aprile.

State pensando a qualche nuova iniziativa?

Lo facciamo sempre. Adesso, ad esempio, stiamo lavorando per l’apertura estiva e abbiamo pensato a creare un’etichetta discografica – continua Valentina.

Cosa sentite che vi manca?

Marco Jannotta (morto nel 2019, ndr), colui che ha creato tutto questo. Era un maestro in cucina e nella vita che ci ha insegnato a mettere stile e armonia nelle portate come solo un esteta come lui poteva fare. Riusciva a creare un piatto anche solo con due fette sottilissime di crudo, come quella volta che invece di un prosciutto portò in cucina poco più di un osso.

Jazz Club Ferrara
Via Rampari di Belfiore, 167 – Ferrara
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