Ristorante Mater, il fine-dining “monastico” nel cuore di una foresta sacra

Ristorante Mater: come si mangia e quanto si spende

Tra le ombre del Parco Nazionale del Casentino e l’eco silente della tradizione monastica camaldolese, la cucina di Chef Baroni celebra l’arte della gastronomia, dove antiche ricette s’incontrano con l’ardore innovativo di un ristorante immerso nella natura sacra

Il Casentino non è una zona geografica che si fa amare per il suo essere facile, perché è decisamente ostica agli occhi di un avventore poco avvezzo al concetto di fatica. Anzi, sembra quasi che, scavando tra i solchi dell’anima di questa terra, la natura abbia giocato a nascondersi per preservarsi, che è un po’ il segreto di chi vuole mantenersi giovane, umani e piante, animali e segreti. Ma se qualcuno trovasse la voglia e il coraggio di predisporre la propria anima ad un viaggio poco banale e molto didattico, si imbatterebbe nei sottili fili d’argento della saggezza camaldolese, tracciati nel tessuto stesso del Casentino.

Tra anima e terra, l’esperienza Mater

A Moggiona (AR), nel cuore battente del Parco, il Ristorante Mater è custode silenzioso di questa antica tradizione, dove la natura stessa diviene l’essenza di un’esperienza culinaria che parla a tutti i sensi. La sala, avvolta dal calore e dalla consistenza del legno, sembra essere una continuazione naturale della foresta stessa, un invito a sedersi e assaporare le visioni e i suoni di un territorio ricco e profondo.

La cucina di Baroni: radici, rispetto e rinnovamento

Al centro di questo microcosmo, c’è lo Chef Filippo Baroni. Originario di Sansepolcro e cresciuto professionalmente alla corte di Gaetano Trovato (Chef due stelle Michelin del Ristorante Arnolfo a Colle Val D’Elsa), Filippo, insieme alla sua compagna nella vita e nel lavoro, Marta Bidi, ha scritto una narrazione profondamente intrecciata con il territorio casentinese.

Una storia che inizia nel 2004, quando la famiglia Baroni decide di aprire “I Tre Baroni” a Moggiona, all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, una zona periodicamente brulicante di pellegrini e visitatori, specialmente durante i mesi estivi.

Ai piedi dell’Eremo di Camaldoli, il percorso imprenditoriale dei Baroni continua a crescere. Proprio di fronte al monastero, infatti, inaugura “La Locanda dei Baroni“, e in seguito  la famiglia aggiunge anche un campeggio al suo portfolio. Tuttavia, il desiderio profondo di Filippo era di creare qualcosa di più affine al suo concetto di cucina, qualcosa che rispecchiasse un impegno più profondo e personale verso l’arte gastronomica. Questo desiderio prende forma nel 2017, con la nascita di “Mater”.

Con dedizione e rispetto, Baroni trasforma ingredienti selezionati in racconti, testimonianze di una terra che ha tanto da offrire. L’essenza di Mater si identifica nella dedizione di Baroni verso la purezza delle materie prime casentinesi e nella sua capacità di rivisitare con un tocco personale le fondamenta della cucina italiana, incorporando influenze esterne, dalla rigore francese alle sfumature della cucina nordica.

Il suo approccio all’alta gastronomia si manifesta attraverso una valorizzazione completa del palato, compresa la riscoperta dell’amarezza, spesso relegata ai margini. Con una meticolosità particolare per le verdure, Baroni conferisce dignità e protagonismo a ogni componente vegetale. Questa dedizione si riflette anche nell’integrità strutturale dei piatti, dove ogni dettaglio, ogni sapore, è presentato con una pulizia e precisione ineguagliabili.

Dalle profondità alle superfici della terra: il menù di Mater

Gli ospiti possono scegliere tra due distinti percorsi degustazione. Il primo, “In profondità“, è composto da 8 portate al prezzo di 95 euro, con la possibilità di aggiungere un abbinamento vini per ulteriori 55 euro. Il secondo percorso, “In superficie“, consiste in 5 portate proposte a 75 euro, e per chi desidera arricchire l’esperienza con l’abbinamento di vini, il costo aggiuntivo è di 45 euro. Un menù che, rispetto alle profondità di erbe, radici e vegetali del precedente, si focalizza sugli animali e sui prodotti non vegetali che popolano la superficie terrestre.

La degustazione, quindi, si sviluppa attraverso piatti che mostrano una precisa filosofa culinaria e una minuziosa attenzione alla provenienza e alla lavorazione degli ingredienti.

I piatti di Filippo Baroni

Si parte con Zucchina, il suo fiore, acqua di cedro e spuma daceto, un piatto che dimostra la sofisticata semplicità del chef Baroni e la sua attenzione maniacale alle materie prime. Inizia con la zucchina, la cui marinatura con acqua di cedro e menta libera e accentua le sue note vegetali fresche. Questa tecnica, abbinata alla menta, non solo ne esalta il sapore, ma crea anche un leggero sottofondo agrumato, equilibrato dal cedro. Il fiore di zucca, fritto con maestria, mantiene un aspetto leggero e croccante, senza eccessi oleosi, diventando quasi un contrasto di consistenze con la zucchina morbida. Il gel di aceto di sambuco, attraverso il suo acidulo, bilancia la grassezza della frittura e si fonde con la salsa alla scapece, creando un piacevole “interplay” tra dolce e acido.

Nel Cappelletto con cardo mariano, limone nero bruciato e tarassaco, un classico della cucina italiana, si nota una perizia assoluta, ovviamente esaltata dalla sua artigianalità: la sfoglia si mostra di una consistenza ottimale, né troppo sottile da compromettere la sua struttura, né troppo spessa da dominare il ripieno. Quest’ultimo, ricotta di pecora, è delicatamente cremosa, un leggero abbraccio al palato che non sovrasta gli altri sapori.

Il cardo mariano è l’elemento che eleva questo piatto da una semplice preparazione tradizionale a un “discorso”. La sua componente vegetale dona una nota terrosa al piatto, un legame diretto con l’humus da cui proviene. Ma non è solo il sapore del cardo mariano a essere significativo: la sua storia porta con sé una leggenda di antiche tradizioni cristiane. Si narra che le striature bianche sulle foglie della pianta siano il simbolo del latte della Vergine Maria, perso durante la fuga in Egitto.

L’aggiunta del limone nero bruciato introduce un carattere affumicato, con una leggera acidità che contrasta e allo stesso tempo bilancia la dolcezza della ricotta. Non è un’aggressività dominante, ma una nuance che si fa notare e apprezzare. Il tarassaco, con le sue proprietà leggermente astringenti, pulisce il palato e prepara per il prossimo assaggio, rendendo ogni boccone una riscoperta.

Risina, susina, ruta e finocchietto porta con sé non solo un amalgama di sapori, ma anche di tradizioni e storia. La risina, spesso denominata il “riso dei monaci”, è in realtà il chicco spezzato Carnaroli, una volta considerato uno scarto e destinato all’alimentazione di bestiame e, in tempi di magra, ai monaci. Questo particolare riso, ora prodotto specificamente da un’azienda del vercellese, rappresenta l’umiltà della cucina monastica e la capacità di valorizzare ogni elemento.

Nel piatto, la risina è preparata con un’attenzione particolare alla sua texture: ogni chicco conserva la sua integrità, ma al contempo si amalgama perfettamente con gli altri ingredienti. L’olio al finocchietto dona una leggerezza aromatica, un soffio di freschezza che equilibra il piatto. La gelatina di susine introduce un’acidità controllata, un leggero contrasto che non invade ma piuttosto esalta la delicatezza del riso. La fonduta di formaggio Bruma avvolge con la sua cremosità, agendo come legante tra gli ingredienti e dando una base di consistenza omogenea al palato. Ma è la presenza della ruta e del finocchietto selvatico a conferire a questo piatto una vera e propria firma di carattere. Queste erbe, dal profumo inconfondibile, non si limitano a dare sapore: raccontano la storia di una terra, di prati incolti e di antiche tradizioni.

Il dessert Albicocca, mandorla amara e tiglio combina sapori e aromi in un equilibrio delicato e raffinato. La scelta dell’albicocca, un frutto estivo con una nota dolce e leggermente acidula, funge da base per un dessert dal sapore familiare, ma rielaborato con audacia.

Le albicocche, mantecate con i loro stessi succhi, intensificano la loro essenza e concentrando il sapore. Questa tecnica mette in evidenza la dolcezza naturale del frutto, offrendo al contempo una consistenza cremosa e vellutata al palato.

Le foglie di tiglio e la crema di mandorle amare introducono un gioco di contrasti. Il tiglio, con il suo aroma delicato e floreale, agisce come controcanto alla dolcezza predominante, mentre la mandorla amara apporta una nota leggermente aspra e profonda, che equilibra il piatto e stimola ulteriormente il palato.

A completare la composizione, il gelato al caprino con arance caramellate aggiunge ricchezza e profondità, con la sua texture cremosa e la sua nota leggermente salata, mentre le arance caramellate danno un tocco di croccantezza e una punta di acidità.

Come epilogo di una cena così pensata nei dettagli, l’infuso di erbe serve non solo come digestivo ma anche come momento di riflessione. Preparato con una macchina da caffè giapponese, l’infuso contiene erbe dell’orto come salvia, valeriana e tarassaco. Lontano dalla pesantezza dei fine pasto tradizionali, offre una conclusione leggera e purificante, rimanendo fedele alla filosofia dello chef di esaltare la natura in ogni piatto.

 

La carta dei vini, tra grandi classici e chicche nascoste

La proposta enoica di Mater è una riflessione ben calibrata sull’interazione tra vino e cibo. Decisamente fuori dagli schemi, si discosta dalla tradizionale categorizzazione regionale, optando per un’organizzazione basata sulle peculiarità e le strutture dei vini. In questo modo, si esplorano le bollicine – con la loro effervescenza e dinamicità –, i bianchi suddivisi tra quelli vibranti, leggeri e quelli dalla struttura più decisa. Si passa poi ai rosé, con enfasi sulla loro eleganza cromatica e aromaticità, e ai rossi, distinguendoli tra quelli dal carattere sottile ma pregnante e quelli che si manifestano con vigore e profondità.

Uno sguardo attento rivela una dedica al Pinot Nero, vitigno che nel Casentino ha trovato una sua peculiare espressione. Evidenziandone le sfaccettature, Mater presenta una varietà di interpretazioni, dall’eleganza sottile alle versioni più strutturate.

Interessante è la segmentazione dedicata ai vini monastici, riconoscibili da un distintivo. Questi vini, nati in luoghi intrisi di spiritualità, si contraddistinguono per un profilo olfattivo e gustativo che sembra catturare la meditazione e la riflessione dei luoghi di origine.

Pace nel silenzio, estasi nel sapore

Ogni piatto di Baroni è figlio del rigore di calcoli accurati, dove gli aromi e le consistenze si intrecciano in geometrie precise, simili alla trama coriacea di un antico testo amanuense.

In questo angolo di mondo, il cibo entra in una dimensione quasi ascetica, dove la contemplazione e la riflessione guidano ogni scelta. Vi è una profonda comprensione della botanica, un rispetto per la geologia del terroir e una passione per la chimica intrinseca degli ingredienti.

La cucina a Mater si muove in un dominio dove il territorio si coniuga con l’innovazione e l’antico viene reinterpretato attraverso lenti contemporanee; un punto di incontro tra il rigore tecnico, la sensibilità emotiva e la profondità spirituale: insomma, un paesaggio gastronomico autentico e senza fronzoli.

Un pasto che è un tutt’uno con il litaniare armonico dei frati, perché se è vero che il monaco trova pace nel silenzio, così il gourmet trova estasi nel sapore.

Ristorante Mater
Via Camaldoli, 52 – Moggiona (AR) | www.ristorantemater.it