A Nerano, tra “Quattro Passi” contemporanei e tanta storia

Ristorante Quattro Passi a Nerano: intervista a Fabrizio Mellino

Questa è la storia di una famiglia che ha segnato una pietra miliare della ristorazione italiana (e non solo); di un ragazzo che ha saputo ereditare gli insegnamenti dei genitori e costruirsi una propria strada; è la storia di un ristorante dove si percepisce immediatamente l’atmosfera magica di un luogo in cui regna sovrana la tipica ospitalità campana.

E ci si sente inspiegabilmente a casa…Mai mi è capitato di iniziare un articolo con la stessa frase con cui terminerò lo stesso, sebbene tra l’incipit e la fine si sussegua un crocevia di emozioni, suggestioni, considerazioni; in breve, una storia. È la storia di una famiglia “sana” che ha saputo creare con sacrificio un piccolo (grande) mondo; è la storia di una famiglia che ha innegabilmente segnato una pietra miliare della ristorazione italiana (e non solo); è la storia di un ragazzo che ha saputo ereditare gli insegnamenti dei genitori, seguire i loro principi e costruirsi una propria strada – autonomamente – in un mondo impervio, ricco di contraddizioni…

Quando ci si ritrova nel ristorante “Quattro Passi” a Nerano (NA), si percepisce immediatamente l’atmosfera magica di un luogo in cui regna sovrana l’ospitalità tipica di questo lembo di Campania, laddove il sole sembra conferire una luce peculiare ad una cromia di sfumature che tipizzano gli ecotipi, i terrazzamenti, le colture. Un luogo non luogo unico, da cui il giovane Fabrizio Mellino, oramai ai fornelli, attinge a piene mani per disegnare sia piatti “firma” che hanno segnato la storia del locale e della gastronomia, sia creazioni di un menù intelligentemente pensato per accostare alle tradizioni spunti e contaminazioni ragionate.

Un ragazzo dal fitto e interessante curriculum, che trasmette con il suo sguardo la passione per la cucina, il suo desiderio di conoscere quotidianamente nuove materia prime, nuove tecniche; la sua caparbietà nel saper portare avanti con meritato orgoglio una “importante” eredità di famiglia. Non sarebbe semplice per nessuno, ancor meno per un ventisettenne che, tuttavia, sorprende con quel suo savoir faire raro, grazie al quale riesce a fondere passato e presente. E a colpire è l’eleganza con la quale rende apparentemente “semplice” ogni sua creazione, di contro assai complessa per filosofia ed equilibrata negli abbinamenti.

La sua mano dà libera espressione ad una mente dinamica che ha saputo rendere il “Quattro Passi” un’entità contemporanea, una coeva fusione tra tradizione e prossimo futuro; ha saputo esprimere la quintessenza del ristorante attraverso una cucina “di sostanza” e di “intelletto”, animata da un percepibile amore per il lavoro.

Armonica, dunque, non solo per le singole preparazioni, ma perché ben integrata in un ambiente che va plasmandosi progressivamente seguendo l’esempio delle “nuove leve”: nulla stona in un contesto in cui la calda ospitalità si unisce al rigore elegante e al contempo informale della sala; dove l’accuratezza della mise en place si muove parallelamente alla maniacalità della selezione degli ingredienti; laddove i colori accuratamente studiati degli arredi fanno pendant con le tonalità delle portate di Fabrizio.

E se è vero che ad un occhio attento non sfugge la dimensione quasi “sistemica” di un ristorante multidimensionale, è vero anche che lo stesso occhio riesce a leggere ogni ricetta come un sistema fatto di subsistemi e inserito in un sovrasistema. Ed infatti, è raro vedere una perfetta integrazione tra i piatti e l’ambientazione (sovrasistema), così come notare un’altrettanto sorprendente integrazione tra gli ingredienti (subsistema) e il pensiero alla base della ricetta, tra la sala e la cucina.

Talento trasmesso geneticamente e coltivato quello del giovane chef che, grazie al supporto della famiglia e ai costanti sacrifici, porta letteralmente “In tavola” opere quintessenza di tecnica, gusto artistico e studio. Di quello studio sentito, poco frequente, specie in un ventisettenne che si muove tra un “io” da ricercatore e un “es” di alchimista, dal cui blend nascono piatti ben congegnati figli dell’incontro tra sapori “caldi” del Meridione e ispirazioni d’oltreconfine.

Intervista a Fabrizio Mellino del Ristorante Quattro Passi

Fabrizio, ci racconti un po’ la tua formazione?
Sono cresciuto praticamente nel ristorane di famiglia, dando una mano in sala. Poi, su consiglio di mio padre, ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della cucina, perché ritengo che da lì abbia inizio tutto: è il luogo da cui ha avvio l’anima di un ristorante e un piatto, di fatto, la esprime.

Hai frequentato l’Alberghiero?
No, il linguistico. Terminati gli studi, ero attirato dall’iscrivermi alla facoltà di Architettura. Quando, però, mio padre mi portò a Lione a vedere la Scuola di Paul Bocuse, cambiai idea.

Come mai, cosa hai capito in quel momento?
La professionalità, ho colto la differenza di approccio rispetto all’Italia, l’esaltazione dei valori che sono dietro la cucina. Inoltre, rimasi colpito dalla multiculturalità della Scuola, che era per me motivo e opportunità di entrare in contatto con diverse nazionalità, arricchendo il mio bagaglio culturale.

Cosa ti attirava dell’Architettura?
L’aspetto creativo, la pulizia delle linee, le proporzioni, l’abbinamento cromatico.

Dopo la Scuola di Paul Bocuse, quali esperienze hai fatto?
La prima fu a Grenoble, dove mi ritrovai in una cucina bistellata dal forte rigore; capii la centralità della materia prima. Poi, ho avuto modo di fare diverse esperienze, tra cui ricordo quella da Ducasse, presso Louis XV a Monaco.

Cosa ha significato per te questa esperienza?
Davvero mi ha cambiato e aperto la mente. Ho compreso cosa effettivamente significasse avere tre stelle da così tanto tempo: i dettagli, la gestione della brigata, la capacità di dar fiducia al team fidelizzandolo. Trascorsi lì un anno, durante il quale compresi il ruolo cardine della materia prima, l’importanza e le tecniche per mantenere altissimo lo standard e ridurre al minimo la possibilità di errore.

E dopo?
Torno direttamente al ristorante di famiglia, dopo un breve passaggio a Londra, dove all’epoca stavamo progettando di aprire un locale. Ora, il mio obiettivo è continuare a meritare la fiducia di mio padre; sono in cucina da ormai 4 anni, ma il passaggio di testimone è stato giustamente graduale.

Come è cambiata la “severità” di tuo padre nei tuoi confronti?
Più che altro, sono osservazioni fatte da una persona di esperienza e un confronto. Mio padre delega più facilmente in cucina che in sala.

Qual è l’aspetto più arduo per te?
Cogliere per tempo i segnali della mia brigata, positivi o negativi che siano. Cerco di dar loro fiducia e creare un team affiatato.

Cosa rappresenta per te la cucina?
Per me ha una parola chiave: condivisione, quindi confronto su idee, tecniche e ricette.

Raccontaci la tua idea di cucina
Una cucina di materia prima, cui applico sia uno stile classico di Ducasse, sia la creatività, sia gli insegnamenti orientali appresi durante il mio percorso professionale. Il tutto ispirato ad uno stile Mediterraneo, con piatti che abbiano tecnica e storia.

A cosa ti ispiri per la creazione di un piatto?
Spesso alla stagionalità che per me è fondamentale; parto altresì dal territorio e dai suoi frutti, applicando tecniche e aprendomi a contaminazioni dosate.

Come è questo “passaggio generazionale”?
Ho sempre una linea tradizionale del menù, perché – specie al Sud – i clienti storici cercano i prodotti della nostra terra. A questo, ho affiancato un menu “progressista” per sperimentare (Passi Contemporanei).

Hai un ingrediente preferito o un piatto che ti ricorda l’infanzia?
Non ho ingredienti preferiti. La linguina alla Nerano di certo è un piatto che mi ricorda l’infanzia. Vedevo poi da piccolo i clienti rimanere davvero colpiti dal gusto inimitabile del piatto; appena entrato in cucina, mi ripromisi di scoprirne il segreto.

Ti sei mai ispirato a questo piatto per crearne uno tuo?
No, ma d’estate propongo una Nerano light con solo grassi vegetali.

In cosa risiede per te la “forza” dei tuoi genitori?
Mi hanno insegnato praticamente tutto; sono cresciuto con un rigore forte per la selezione della materia prima, ma al tempo stesso hanno voluto creare un ambiente ospitale, sebbene avessero importanti riconoscimenti.

Cosa è per te la cucina?
Un soggetto di cui parlare con qualcuno e ritrovarsi a gustarla in piena convivialità.

Quattro Passi Nerano, il menù e il servizio

Del menù si apprezzano tanto i piatti “simbolo” del locale, tanto le creazioni del giovane Fabrizio. Tra questi, notevole l’accostamento e rigorosa la cottura della seppia a bassa temperatura, aromatizzata all’olio al guanciale, con fave, fiori eduli all’aglio, servita su tacos. La perfetta contrapposizione di colori e sapori va di pari passo con l’evoluzione delle differenti consistenze, tra il crunch del tacos e la morbida scioglievolezza della seppia.

L’ostrica con cipolla caramellata, carciofo, maionese di ostrica e polvere di bietolina, regala al palato un sapore unico, una perfetta fusione tra la nota leggermente amaricante della verdura e il ritorno ammandorlato dell’ostrica, cui la maionese conferisce una rara palabilità.

Tra i signature, ovviamente, lo spaghetto alla Nerano è la quintessenza di un territorio, di una famiglia e di una storia di passione; pochi ingredienti che, in una sinuosa e inusuale armonia, si muovono tra una cucina “di sostanza” e di profonda “ricerca”: la maniacalità nella selezione della linguina ideale in termini di amido, della stagionatura del Parmigiano dal sapore mai prevalente, del burro in mantecatura e della cottura giustamente al dente si coglie appieno sin dal primo boccone. Ammalia le papille con un gusto autentico, dalla complessa evoluzione gustativa, fatta di equilibrati contrasti, in cui nulla prevale se non la forte passione con cui viene realizzato.

A completare l’esperienza, un personale di sala attento e preparato, che sa rendere il pasto un momento quasi avulso dalla routine quotidiana, coccolando il cliente come raramente capita.

…E ci si sente inspiegabilmente a casa.