Il mondo dell’extravergine italiano secondo Marco Oreggia, ideatore di Flos Olei

Il 7 dicembre a Roma si è tenuto l’importante evento dedicato al mondo dell’extravergine di qualità. Tra gli appuntamenti più interessanti c’è stata una degustazione guidata di alcune etichette premiate nella categoria “Hall of Fame“, spiegate dall’ideatore della manifestazione a cui abbiamo rivolto qualche domanda sul settore olivicolo italiano

Nell’ambito della manifestazione Flos Olei 2019 che si è svolta a Roma negli eleganti saloni del Westin Excelsior Rome di Via Veneto, si sono tenuti alcuni corsi di approfondimento sulle tecniche di degustazione dell’olio.

L’ideatore dell’evento, Marco Oreggia, ha proposto una degustazione guidata di alcune etichette premiate nella categoria “Hall of Fame“, classifica di merito che da quest’anno affiancherà la storica e ambita “The Best“. Se quest’ultima premia abitualmente le aziende che, presentando un extravergine di altissimo livello, a entrare nella Hall of Fame sono le realtà premiate con i 100/100esimi che, dopo un’importante crescita negli anni, hanno ormai raggiunto un traguardo stabile di eccellenza.

«Si tratta di una sorta di Oscar alla carriera, spiega Laura Marinelli, curatrice insieme ad Oreggia della guida Flos Olei, che abbiamo deciso di assegnare a un gruppo di aziende che provengono dai primi due Paesi produttori al mondo, per quantità e qualità, ovvero Spagna e Italia. Anche se sono ormai diverse le realtà che si stanno facendo strada nel resto del Mediterraneo e non solo.

Degustazione etichette premiate nella categoria “Hall of Fame

Nell’ambito della masterclass sono state provate le seguenti etichette:

  1. Frantoio Bonamini (Veneto): Dop Veneto Valpolicella cultivar Favarol 50% e Grignan 50%. Fruttato leggero, di un bel colore giallo dorato intenso con riflessi verdi, al naso intriso di note di pomodoro acerbo, con ricordo di mela bianca, pera e banana. Al gusto l’olio presenta un’ampia carica aromatica di basilico, menta e prezzemolo a cui si abbinano toni vegetali di lattuga e sedano. Amaro ben espresso e piccante presente ed equilibrato. Di grande pulizia ed eleganza e mai invadante.
  2. Azienda Agraria Viola (Umbria): Inprivio mono cultivar Frantoio fruttato medio. L’azienda è una straordinaria interprete di una qualità che supera i confini nazionali, nata già nel 1917 e successivamente rinnovata con tecnologia all’avanguardia. L’olio degustato è di un fruttato medio, giallo dorato intenso con nuance verdoline; il naso, di grande balsamicità, è deciso e avvolgente ricco di note di carciofo e cicoria, con netti sentori di menta e rosmarino. In bocca è fine con toni di lattuga e mandorla acerba e pepe nero. Amaro deciso e bene espresso.
  3. Castillo de Canena Olive Juice (Spagna): Reserva Familiar, mono cultivar Picual fruttato intenso. È tra le aziende top a livello internazionale e, da oltre due secoli, porta il nome dello splendido castello di famiglia. L’olio è giallo oro dorato intenso con riflessi verdi, al naso deciso ed avvolgente, ricco di sentori di pomodoro di media maturità ma anche di mela bianca e banana, con note di basilico menta e prezzemolo. Al gusto si avvertono sapori di fave, lattuga e sedano. Amaro potente e piccante spiccato.

Azienda Agricola Biologica Americo Quattrociocchi (Lazio); Superbo,  mono cultivar Moraiolo, biologico. Fruttato intenso, nato da una famiglia di olivicoltori dal 1888. Giallo dorato intenso con lievi nuance verdi, al naso balsamico pieno e complesso ricco si sentori di cicoria e note aromatiche di menta  salvia e rosmarino. Al palato ampio, con toni di carciofo, lattuga ma anche pepe nero mandorla e cannella. Amaro e potente con spiccato piccante.

Aceites Finca La Torre (Spagna); Finca la Torre One, mono cultivar Hojiblanca, fruttato intenso.

Da agricoltura biologica e biodinamica, di colore giallo dorato intenso con sfumature verdi. Al naso è deciso e avvolgente ricco di toni di pomodoro di media maturità ma anche banana e mela bianca, affiancati da sfumature di basilico, menta e prezzemolo. In bocca predominante la nota vegetale con note di fava, lattuga e sedano. Amaro potente e piccante spiccato.

Frantoio Franci (Toscana); Grand Cru, mono cultivar Frantoio, fruttato intenso. Giallo dorato intenso con venature verdi. Al naso deciso ed avvolgente con sentori di cicoria, carciofo e lattuga insieme a toni aromatici di basilico, menta e rosmarino. Al palato ampio note di pepe nero, cannella e mandorla acerba. Amaro e piccante.

Intervista a Marco Oreggia, ideatore di Flos Olei

Alla fine della degustazione Marco Oreggia ci ha rilasciato un’intervista esclusiva.

Quale strada sta prendendo l’olivicoltura italiana?
È sempre in auge, siamo i secondi produttori al mondo per volumi, siamo – però – leader nella biodiversità nelle tipologie varietali, e siamo sicuramente leader nei mercati internazionali. Non abbiamo però solo punti di forza, abbiamo anche qualche punto di debolezza, strutture imprenditoriali un pochino piccole che sui mercati non incidono quanto dovrebbero.

Questo aspetto di un imprenditorialità non troppo ben strutturata e piccola nelle dimensioni ha a che fare anche con la frammentazione delle proprietà?
Questo è un punto di debolezza classico dell’Italia che è figlio dei passaggi generazionali delle piccole proprietà. Dalla fine dei grandi fondi e dai passaggi tra genitori e figli, si arriva ad una polverizzazione piuttosto importante. Basti pensare che l’85% dell’olivicoltura italiana è formata da proprietà con meno di 3 ettari e il resto è di quasi un ettaro; questo è un punto a sfavore per l’olivicoltura italiana perché non si possono considerare realtà impreditoriali ma hobbistiche che, pur tutelando il patrimonio della terra, riguardano una produzione generale di autoconsumo.

Questo aspetto è direttamente collegato anche alla questione di abbandono di terreni?
Certamente, perché se noi non riusciamo a dare reddito al prodotto finale è evidente che nei passaggi generazionali aumenterà l’abbandono. Se non abbiamo imprenditori disposti a crescere, a investire e a far diventare reddito la produzione di olio allora la conseguenza è l’abbandono.

Per i nostri produttori grandi e piccoli, la tecnologia può aiutare a sviluppare più qualità per i nostri oli?
L’innovazione tecnologia può essere assolutamente il nostro futuro, è necessario un notevole impulso in ambito agronomico. In fase di trasformazione siamo già a buoni livelli ma vorrei non dimenticare che nel nostro ambito c’è molto da fare in ambito della comunicazione. 

A proposito di innovazione, nel corso della tua interessante degustazione hai parlato di una possibilità di intervenire sui…  puoi spiegare meglio ai nostri lettori cosa intendevi dire?
Anche questo argomento si può annoverare nel fronte dell’innovazione. Siamo in un momento in cui dobbiamo fare delle scelte epocali. Non è mia intenzione parlare di transgenico perché c’è ancora poco studio applicato nella ricerca e pochi risultati certi però le tecnologie CRISPR potrebbero essere un percorso auspicabile e molto diverso come percorso per l’attivazione o la disattivazione di alcuni geni, così come avvenuto nel grano, nel quale disattivando alcuni geni si è riusciti a produrre senza glutine, intervenendo nello stesso Dna non essendoci alcuna intromissione esterna. Oggi, grazie, o per colpa dell’uomo è necessario inserire un percorso in ambiti varietali resistenti ai fitosanitari, al problema dell’irrigazione, riuscire a portare un’agricoltura sostenibile e avere una pianta che si difende di più, dando meno concime, meno anticrittogamici, meno diserbanti, pesticidi, sia per le falde che per i terreni che per la pianta. Di conseguenza ritengo che queste tecnologie che sono sicuramente da studiare possano favorire una maggiore resistenza e adattabilità delle piante in modo che esse possano produrre frutti anche in situazioni avverse.

Questo argomento sulla possibilità di creare piante non attaccabili ci porta all’argomento del momento, la Xilella.  Cosa ne pensi?
La panacea non è quella di trovare delle formule per combattere patologie funginee o entomologiche attraverso anticrittogamici. È necessario, invece, lavorare negli ambiti varietali vivaistici facendo selezioni massali clonali persino CRISPR, riuscendo a tirare fuori quelle varietà che mantengono le caratteristiche aromatiche ma che siano più resistenti, e quindi incidendo anche sui costi con il minor intervento dell’uomo in campo.

Finora abbiamo parlato della produzione, ma anche il lavoro dell’uomo ha la sua importanza. Quanto secondo te può aiutare la formazione?
È un grande valore, sia agronomico che tecnologico, ma soprattutto degustativo e comunicazionale. Oggi siamo passati da un’agricoltura locale ad un’agricoltura globale e multidisciplinare; accanto all’agricoltura in senso stretto vano affiancati consulenti tecnici nelle specificità di filiera, tecnologi ed esperti commerciali. C’è la necessità di fare aggiornamenti professionali, promuovere corsi di assaggio, avere capacità di critica sui propri prodotti e anche lavorare sulle armonizzazioni e sulla diversificazione in ambito varietale in modo da offrire una gamma diversificata che possa incidere su tutto l’arco potenziale di scelte commerciali.

Uscendo dal tecnicismo della produzione, volendo entrare in una sfera chiamiamola un pò romantica senza citare prodotti, qual è il territorio olivicolo che  ti suscita più emozioni?
Dovendo rispondere con la pancia, per tradizione di famiglia, la Liguria visto il mio cognome di Imperia. È anche vero che l’immagine del prodotto è molto offuscata  dagli industriali che dettano legge nella gestione delle maturazioni, nella lavorazione. Sono cresciuto in una zona di produzione di Taggiasca dove giocavo tra olivi e castagni un grande ricordo personale. Però crescendo e trasferitomi a Roma mi sono affezionato all’olivicoltura laziale, da nord a sud della regione dalla Caninese all’Itrana. Non posso non citare la Sicilia anche per altri percorsi familiari; è una terra che ti sorprende con tutte le sue ricchezze e anche i suoi controsensi ma ha tante belle varietà dalla Tonda Iblea alla Nocellara alla Biancolilla che meriterebbero maggiore riconoscibilità. Per quel che riguarda l’estero la Spagna Andalusa, anche se sono molto legato all’Istria, è uno spettacolo per gli occhi, per chi è appassionato all’albero di olivo l’occhio si perde all’orizzonte. Mentre l’Istria è un braccio armato dell’Italia per le storiche affinità; lì ho trovato un’Italia anni 60 però con tecnologie moderne e un’apertura mentale che mi ricorda un po’ “Italiani brava gente” che noi abbiamo un po’ dimenticato. Un ambiente rilassato con persone che vivono l’agricoltura con tanta professionalità ma con un’artigianalità e con l’orgoglio del ruolo che hanno all’interno della loro filiera familiare e fanno grandi oli.

© Articolo di Marco Sciarrini