Una cena dedicata al tartufo ferrarese, dove lo chef Denny Lodi Rizzini di Makorè ha costruito un percorso fatto di sapori locali e ricerca. Dal nero uncinato al raro macrosporum fino al bianco pregiato, ogni piatto racconta il carattere del territorio ed esalta una biodiversità che rappresenta l’anima più autentica di Ferrara e delle sue terre
Ferrara e il tartufo. Per molti un binomio inaspettato, per pochi una certezza antica quanto le sue mura. Se pensate che il tartufo sia roba da Alba o Norcia, preparatevi a essere smentiti. Ferrara, con il suo terreno alluvionale e la sua biodiversità, è una vera miniera ipogea, nella quale il tartufo cresce e si nutre di una storia che sa di paludi bonificate, querce centenarie e, perché no, anche detriti edilizi nascosti sotto il suolo. Ed è proprio qui che lo chef Denny Lodi Rizzini di Makorè, il ristorante fine dining più intrigante del centro città, ha deciso di rendere omaggio a questo tesoro misconosciuto con una cena che mescola tecnica, ricerca e un pizzico di provocazione.
«Il tartufo ferrarese non ha nulla da invidiare a quelli più blasonati,” afferma con convinzione lo chef. “Ferrara è una terra vocata al tartufo. Dal bianchetto delle sabbie, citato da alcuni manoscritti del Cinquecento, al raro macrosporum, qui cresce un ventaglio di varietà che raccontano il territorio come poche altre cose.»
La sua idea è stata una cena in cui ogni piatto fosse pensato per mettere in scena, accanto al tartufo, il carattere di Ferrara, in un racconto che si fa cultura e piacere allo stesso tempo.
Dal sottobosco alla tavola: il tartufo di Ferrara diventa protagonista
Partiamo dalle basi: perché il tartufo di Ferrara è così speciale? Qui non parliamo del “solito” bianco o nero pregiato, ma di un’intera gamma di tartufi locali, ognuno con una personalità unica. L’uncinato, con la sua scorza spigolosa e una polpa venata di nocciola, è un nero rustico e discreto, perfetto per piatti che vogliono stupire senza urlare. Il nero pregiato, invece, ha un carattere più deciso, con sentori di cioccolato e una venatura violacea che è una gioia per gli occhi prima ancora che per il palato. E poi c’è lui, il misterioso nero liscio, quasi un “tartufo bianco in incognito,” raro e prezioso, capace di ingannare anche i nasi più esperti.
Ma non finisce qui. Ferrara è anche casa del tartufo bianco pregiato, che esige un equilibrio perfetto di sole, terreno e umidità per crescere.
«È il re dei tartufi, certo, – spiega Rizzini – ma la vera forza del nostro territorio è la varietà: sei specie diverse, tutte locali, che permettono di lavorare con il tartufo tutto l’anno.»
Il menu: un viaggio tra sapori e memorie
La cena da Makorè ha trasformato queste varietà in protagoniste di un intero menù. Il racconto inizia con l’Uovo poché. Qui, l’uncinato gioca con la sua persistenza e lascia spazio alla dolcezza della spuma di zucca e al carattere terroso delle erbette ripassate. «L’idea era partire da qualcosa di semplice, ma non banale», spiega lo chef. E ci riesce perfettamente.
Poi arriva il Calamaro ripieno con prosciutto di spada, stracciatella e rapa alla soia, abbinato al tartufo nero pregiato, un piatto che è un mix di tradizione adriatica e creatività personale. «Mi sono ispirato a un piatto che ho assaggiato in Croazia, dove usano calamari farciti con fontina e prosciutto cotto», racconta Rizzini. Ma qui il prosciutto diventa di spada, fatto in casa con una marinatura bilanciata, mentre la stracciatella aggiunge cremosità e la griglia dona quel tocco affumicato che ti porta subito su una spiaggia d’estate. «Con il nero pregiato, abbiamo trovato il giusto equilibrio tra mare e sottobosco».
Il Pasticcio Estense: storia, tecnica e un pizzico di follia
Il piatto simbolo della serata è stato senza dubbio il Pasticcio Estense, una rivisitazione in chiave vegetale di un classico rinascimentale. Nato nel 1528 per celebrare un matrimonio tra Ercole II d’Este e Renata di Francia, il pasticcio originale era un trionfo di opulenza: maccheroni, carne di cortile, funghi e tartufo, tutto racchiuso in una frolla dolce. «Per me, rifarlo identico sarebbe stato un esercizio sterile, – spiega lo chef – Ho voluto rispettare la tradizione, ma portarla nel presente.»
La chiave è una salsa a base di lieviti inattivi, che sorprendentemente ricorda il sapore di un fondo di piccione. «È stata una scoperta casuale,- racconta – Mentre riducevo la salsa, ho riconosciuto quel sapore e ho capito che era perfetto per reinterpretare il pasticcio.» La frolla dolce è stata sostituita da una sfoglia caramellata, decorata con una serigrafia del Castello Estense, in un omaggio anche visivo alla città. Sul fondo, troviamo il tartufo nero liscio. Il risultato è un piatto che unisce storia e avanguardia, senza mai perdere di vista la golosità.
Il Wellington Fish: un classico reinventato
Non poteva mancare un tocco internazionale. Con il Wellington Fish, abbinato al nero pregiato, lo chef ha voluto osare, portando un’icona della cucina britannica nel mondo del mare. «Ho sostituito il filetto di manzo con un pesce adatto a mantenere la consistenza e la forma, aggiungendo il tartufo nero uncinato per un tocco in più», spiega. Il risultato? Un piatto che mantiene intatti i crismi del Wellington ma con un’anima completamente nuova.
Il dolce: Autunno in un boccone
La cena si chiude con il dessert Autunno, che gioca in accoppiata con il tartufo bianco: una creazione minimalista ma piena di emozione. «Volevamo evocare l’idea di una serata davanti al camino, con un bicchiere di rum e il freddo fuori», spiega lo chef. Il piatto, composto da un cremoso al caffè, semi di zucca caramellati, coste di bieta sciroppate e un gel al rum, è decorato con foglie croccanti di zucca e tapioca, a simboleggiare il foliage autunnale. «È un dolce che chiude senza appesantire, ma lascia una sensazione di calore e completezza.»
Un messaggio per il territorio
La cena, organizzata in collaborazione con l’Associazione Arci Tartufi di Ferrara, è stata anche un’occasione per riflettere sul valore del tartufo come risorsa locale.
«Il nostro obiettivo non è solo celebrare il tartufo, ma anche renderlo accessibile, – conclude Rizzini – Ferrara ha un potenziale incredibile, e il tartufo è uno degli strumenti per valorizzarlo.»
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