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L’espresso napoletano si candida a Patrimonio Unesco

È stata lanciata la raccolta firme per richiedere il riconoscimento a patrimonio dell’umanità della famosa tazzina partenopea. Un obiettivo che, se realizzato, sancirebbe l’unicità e l’irriproducibilità di un prodotto tipico del territorio che è famoso in tutto il mondo

Dopo la pizza, anche l’espresso napoletano ambisce a diventare patrimonio dell’umanità.

Caffè espresso napoletano Patrimonio Unesco? Si è parlato anche di questo il pomeriggio di lunedì 2 dicembre presso il Palazzo del Consiglio della Regione Campania a Napoli dove si è svolto il convegno dal titolo “I Patrimoni Culturali Immateriali tra rito e socialità”.

Organizzato dall’Ente Regione in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, la giornata ha visto la presenza di centinaia di ospiti e di parecchi relatori che hanno sottolineato come il patrimonio culturale immateriale agroalimentare italiano sia patrimonio dell’umanità intera e come, sotto questo aspetto, il caffè espresso abbia un posto centrale.

Caffè espresso napoletano Patrimonio Unesco, ci riuscirà?

Il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli.

Tra i presenti anche il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli, che ha collaborato con i promotori Michele Sergio (titolare del famoso Caffè Gambrinus di Napoli) e Massimiliano Rosati (proprietario dell’omonimo Caffè), alla raccolta di firme per annoverare l’espresso napoletano tra i beni immateriali dell’umanità protetti dall’Unesco.

«L’iniziativa – ha dichiarato Borrelli – sarà l’occasione per lanciare la candidatura del caffè espresso napoletano a patrimonio dell’umanità Unesco, un riconoscimento che sancirebbe l’unicità e l’irriproducibilità di un prodotto tipico del territorio che è famoso in tutto il mondo. Il caffè espresso napoletano – ha proseguito – possiede peculiarità proprie che lo caratterizzano e lo differenziano da tutti gli altri tipi di espresso. Puntiamo al riconoscimento Unesco sulla scorta di quanto già avvenuto con la pizza napoletana. Sappiamo che è in atto un iter simile per la candidatura del caffè espresso italiano ma è noto che si tratta di due prodotti diversi. Siamo a favore del riconoscimento internazionale delle eccellenze italiane. Sosteniamo dunque le due candidature e auspichiamo che entrambi gli iter possano concludersi felicemente. Ci aspettiamo che il Governo e gli altri promotori facciano lo stesso con la nostra iniziativa che punta al riconoscimento internazionale di un prodotto che ha esportato Napoli nel mondo».

Il caffè a Napoli tra costume e grandi numeri

Napoli ha un legame particolare con la bevanda venuta da lontano: il capoluogo campano è primo in Italia per consumo di caffè e per numero di bar per chilometro quadrato. Un napoletano beve il caffè a colazione, durante la pausa lavoro di metà mattina, dopo pranzo, il pomeriggio e anche dopo cena: cinque volte al giorno almeno e oltre ad essere un’abitudine alimentare è un costume culturale, momento di socializzazione e condivisione.

Oltre all’espresso consumato al bar, c’è quello preso a casa, nel chiuso delle mura domestiche, preparato con la famosa moka (scoprite qui i segreti per ricavarne un ottimo caffè) o, negli ultimi anni, con la tradizionale “cuccumella”, la caffettiera napoletana che prepara il caffè facendo passare l’acqua attraverso la miscela in polvere, per caduta, grazie alla forza di gravità.

La caffettiera napoletana o “cuccumella”.

La tradizione del “caffè sospeso”

Sempre a Napoli, è ritornata la tradizione del “caffè sospeso”, pagato ma non consumato. Quest’usanza nasce nell’Ottocento proprio nello storico Caffè Gambrinus dove è posizionata una grande caffettiera dentro la quale quotidianamente i clienti lasciano scontrini che consentono di prendere un caffè a coloro che non se lo possono permettere.

Lo storico Caffè Gambrinus di Napoli.

«Tante persone, spesso non abbienti, – racconta Gilda, collaboratrice dello storico locale – si recano alla caffettiera a prelevare lo scontrino per recarsi al banco a consumare un caffè, accolti dalla simpatia di coloro che, oltre alla “tazzulella” di caffè, non negano una chiacchiera o un sorriso o una battuta. Ormai li conosco, è gente che vive realmente una situazione di povertà, non solo economica, e che scorge nel momento rituale del caffè, quell’attimo di pausa dai problemi che assillano la propria vita».

E non è un caso che tanti autori napoletani abbiano celebrato nel canto il caffè. Tra questi spicca la celeberrima canzone ’A tazza ‘e cafè, composta all’inizio del secolo scorso da Giuseppe Capaldo, un ex cameriere di un locale del centro storico di Napoli dove lavorava Brigida, una scontrosa cassiera che l’autore non esita a paragonare a una tazza di caffè, amaro al primo sorso ma dolce alla fine, quando le labbra assaporano lo zucchero sul fondo della tazzina. Brigida era una donna all’appenza scontrosa, ma dal cuore tenero e dolce. E l’augurio è che, insieme alla pizza, già assurta nell’Olimpo dell’Unesco, il prossimo ingresso lo faccia l’espresso napoletano.

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Giovanni Cosenza

Professore napoletano, ho incontrato il mondo dell’enogastronomia grazie alla docenza in un Istituto per i Servizi Enogastronomici e dell’Ospitalità Alberghiera di Terra di Lavoro. Appassionato di storia dell’alimentazione e dei suoi significati antropologici e religiosi, racconto la Campania Felix a tavola persuaso, parafrasando Ludwig Feuerbach, che «l’uomo è ciò che mangia».

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