Nasce il Ministero della sovranità alimentare, ma cos’è davvero?

Dalla lettura dei componenti della compagine succeduta a Draghi – avvenuta lo scorso 21 ottobre – è emerso che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali cambia nome e ha fatto capolino un termine che sta creando dubbi interpretativi e accesi dibattiti, non solo nel mondo agricolo

Sovranità alimentare: cosa vuol dire e quali obiettivi si propone

Secondo la nota lista dei dicasteri – e corrispondenti titolari – del Governo della neo Presidente Meloni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali muta la propria denominazione in Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare.

L’annuncio ha creato, sin da subito, interrogativi sulla portata semantica del termine. Un’analisi superficiale potrebbe, infatti, confinare l’espressione all’indipendenza alimentare nazionale, secondo una lettura puramente autarchica. In realtà, la questione, se correttamente ricostruita, affonda le radici in un intenso lavoro di ricerca, di raccolta e di interpretazione condotto da ecologi, attivisti, agronomi e, più in generale, di esperti sul tema. L’indagine ha riguardato i bisogni di migliaia di comunità rurali disseminate nel globo.

Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare: come nasce il termine?

La coniazione della locuzione si deve a La Via Campesina, un movimento internazionale di agricoltori provenienti da 81 diverse Nazioni che ha l’obiettivo di tutelare i produttori locali e la sostenibilità dei processi di coltivazione attraverso un approccio multiculturale, pluralista, fermamente orientato all’uguaglianza di genere e al sostegno delle popolazioni indigene.

Nel 1996, in occasione della Conferenza internazionale, questa organizzazione ha promosso il concetto di “Sovranita alimentare” che ora campeggia sulle prime pagine dei giornali definendolo come “il diritto di ogni nazione a mantenere e sviluppare la propria capacità di produrre cibo, che è cruciale per la sicurezza alimentare nazionale e della comunità, rispettando la diversità culturale e la diversità dei metodi di produzione”. Un pensiero riproposto, nel novembre dello stesso anno, nel corso del Forum parallelo al World Food Summit di Roma.

Nel corso degli anni, il concetto è stato approfondito e arricchito da ulteriori spunti in modo da comprendere le nuove urgenze del settore, quali l’accesso alla terra, all’acqua, ai semi, alle razze animali – oltre che al credito – da parte dei piccoli agricoltori, degli allevatori e dei pescatori artigianali. E ancora: l’esigenza di produrre e di fruire di cibo nutriente e tradizionale, di proteggersi da condizioni di mercato sfavorevoli e dalle disuguaglianze fra uomini e donne, popoli, gruppi razziali, classi sociali e generazioni. Un’idea a tutto tondo che si estende anche alla partecipazione attiva ai processi decisionali riguardanti il comparto primario, alla salvaguardia della integrità ambientale e alla conservazione del paesaggio.

Più di recente, il secondo documento tematico de La Via Campesina titolato “Diritti dei contadini e produzione alimentare”, che si riallaccia alla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali (UNDROP), rimarca, ancora una volta, l’importanza della sovranità alimentare come diritto dei coltivatori a determinare il proprio sistema agroalimentare e pone con forza l’attenzione sulla necessità di potenziare politiche alimentari pluri-livello che mettano al centro gli esseri umani al posto del profitto.