Sacchietti bio: ora si possono portare da casa

Sacchetti per frutta e verdura: ora si possono portare da casa

Sacchetti per frutta e verdura biodegradabili: diatriba finita? Dopo il Consiglio di Stato, anche il Ministero della Salute ha stabilito che il consumatore non è obbligato a comprarli. Ma esistono delle condizioni da rispettare.

Da quando è entrata in vigore la disposizione secondo la quale i sacchetti bio per frutta e verdura devono essere pagati e il costo relativo deve risultare sullo scontrino, se ne son viste e sentite di tutti i colori: dalle mele prezzate singolarmente alla chiamata alle armi per ipotesi di politica e conflitti di interessi. Tutte questioni discutibili, quasi si ritenesse che – in precedenza – il sacchetto per l’ortofrutta al supermercato ci fosse regalato e il suo costo non fosse insito nel prezzo stesso del prodotto. Contabilità creativa? Strategie di mercato benevolenti? Ci credo ben poco.

Sacchetti per frutta e verdura: ora si possono portare da casa

A mettere la parola “addio” alle succitate polemiche sono state prima il Parere del Consiglio di Stato (n. 859 del 29 marzo 2018) emesso su richiesta del Ministero della Salute e poi la circolare dello stesso dicastero che, il 30 aprile 2018, ha espresso consenso per i sacchetti portati “al seguito” dal cliente, purchè rispettino certi requisiti.

Il Ministero aveva chiesto al Consiglio di Stato se – e a quali condizioni – il consumatore potesse utilizzare borse o contenitori di qualsiasi natura già in suo possesso, in alternativa alle buste di plastica biodegradabili messe a disposizione nel punto commerciale. Queste ultimi, secondo la nuova disposizione, non possono più essere cedute a titolo gratuito.

La pronuncia del Consiglio di Stato

Secondo quanto asserito dal Consiglio di Stato, le borse in plastica ultraleggere – in quanto beni autonomamente commerciabili e indipendenti dalla merce che sono destinati a contenere – non possono essere sottratte alla logica del mercato. Per tale ragione, i giudici hanno ritenuto che non sia giusto escludere la facoltà che i sacchetti possano essere comprati all’esterno del negozio nel quale saranno utilizzati.

In poche parole, il conumatore potrà portare nel supermercato dei sacchetti acquistati altrove o autonomamente reperiti purché – sottolinea il Consiglio di Stato – siano idonei a preservare l’integrità della merce e rispondano alla caratteristiche di legge.

Infatti bisogna anche tenere conto del rispetto della normativa in tema di igiene e sicurezza alimentare. In particolare ciascun esercizio commerciale sarà tenuto, secondo le modalità dallo stesso ritenute più appropriate, alla verifica dell’idoneità e della conformità a legge dei sacchetti utilizzati dal consumatore, siano essi messi a disposizione dell’esercizio commerciale stesso, siano essi introdotti nei locali autonomamente dal consumatore.

Nella sua veste di soggetto che deve garantire l’integrità dei prodotti ceduti dallo stesso, il gestore può vietare l’utilizzo di contenitori autonomamente reperiti dal consumatore solo se non conformi alla normativa di volta in volta applicabile per ciascuna tipologia di merce, o comunque in concreto non idonei a venire in contatto con gli alimenti.

Via libera anche dal Ministero della Salute

Dopo il parere favorevole del Consiglio di Stato anche una circolare del Ministero della Salute, emessa il 30 aprile 2018, ha confermato la possibilità che i consumatori possano portarsi da casa i sacchetti per frutta e verdura senza essere obbligati a comprarli all’interno dell’esercizio commerciale.

I contenitori «alternativi» però, dovranno avere le stesse caratteristiche di quelli del negozio ossia essere:

  1. monouso, quindi non riutilizzabili,
  2. nuovi, cioè non utilizzati in precedenza,
  3. integri,
  4. acquistati al di fuori degli esercizi commerciali,
  5. conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti e aventi le caratteristiche ‘ambientali'” previste dalle legge 123/2017, che ha introdotto l’obbligo dei sacchetti compostabili a pagamento per l’ortofrutta.

Anche la circolare del Ministero annuncia chiaramente che non è quindi possibile che gli operatori del settore alimentare possano «impedire o vietare tale facoltà di utilizzo».