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Giuseppina Siotto: “Vi racconto la MIA cucina”

Quando la passione per la cucina e l'alimentazione diventano un lavoro. Giuseppina Siotto, docente di cucina naturale e chef al Ristorante Centro Natura di Bologna, ci parla di "cucina consapevole" e del suo ultimo libro di ricette: “Vegetaliana. Note di cucina italiana vegetale”.

Giuseppina Siotto, l’intervista alla chef di cucina naturale e vegana.

Origini sarde, ma da tanti anni a Bologna, Giuseppina Siotto incontra La Gazzetta del Gusto. Ci racconta del suo ultimo libro e della sua idea di cucina: una passione intensa e uno studio approfondito trasformati nel lavoro della sua vita.

Giuseppina-Siotto“La cucina è un laboratorio scientifico, artistico e umano alla portata di tutti, dove è possibile allenarsi all’autonomia, alla collaborazione, alla decisione, alla scelta. Stimola la capacità di osservazione, permette di sperimentare diverse soluzioni quando si presentano degli imprevisti o si fanno degli errori, mantiene sveglia la forza immaginativa e creativa.” Con queste parole Giuseppina Siotto racconta la sua idea di cucina nel suo libro “Vegetaliana. Note di cucina italiana vegetale”, edito dalla Damster di Modena nella collana “I quaderni del Loggione”. Una cucina consapevole che parte dalla ricerca dell’ingrediente più puro, meno raffinato, più genuino possibile. Da una materia prima di grande qualità si arriva a fare degli ottimi piatti, anche senza l’ausilio di carne, pesce o derivati.

Giuseppina Siotto è cuoca e docente di cucina naturale presso il Ristorante Centro Natura di Bologna. Arrivata a Bologna dalla Sardegna, si laurea prima al Dams e poi in Antropologia Culturale ed Etnologia. Dal 1986 però svolge, parallelamente ai suoi studi, una ricerca sul cibo come cura e medicina che la porterà, con il tempo, a fare di questa passione il suo mestiere. La sua specialità consiste nello studio degli ingredienti che caratterizzano le varie cucine del mondo, dei metodi di trasformazione tradizionali e moderni e degli aspetti culturali connessi all’alimentazione.

Il libro “Vegetaliana” racconta l’atto del nutrirsi in armonia con la terra, proprio come dovrebbe essere per ricominciare a vivere il cibo che mangiamo non più come dato per scontato, come qualcosa che acquisiamo dal mercato passivamente. Un libro fatto di storie e ricette, un percorso in cui si possono ritrovare anche le tradizioni della cucina italiana.

La Gazzetta del Gusto ha avuto il piacere di incontrare Giuseppina Siotto per un’intervista sul suo lavoro, sulla passione per la cucina e sul suo ultimo libro di ricette vegane.

Ciao Giuseppina, grazie per aver accettato la nostra intervista. Ci puoi raccontare un po’ il percorso che ti ha condotto alla cucina naturale?
Io ho studiato al DAMS di Bologna e, infatti, ho lavorato anche come restauratrice di film. L’alimentazione all’inizio era esclusivamente una mia scelta personale, che ho approfondito molto perché quando io ho iniziato ad avvicinarmi alla cucina naturale, non c’erano molte informazioni e soprattutto dovevi andarle a cercare. Il fatto che fosse così diversa dall’alimentazione che si conosceva, mi ha costretta a farmi alcune domande: sarà equilibrata? Come posso sostituire determinati alimenti? Avrò delle carenze? Per rispondere a tutti questi quesiti era necessario conoscere bene quello che stavo mangiando, molto più di una persona che, acquisito uno stile alimentare in famiglia, spesso non pensa neanche di mettere in dubbio la correttezza e l’equilibrio di quello che mangia. L’aspetto della scelta comporta un andare ad approfondire.

Da quanto tempo sei vegana?
Ho compiuto questa scelta alimentare già trent’anni fa non tanto per motivi di carattere etico, ma principalmente per una mia necessità dietetica. Nel tempo ho capito che questa scelta non poteva comunque prescindere dall’etica e dal rispetto dell’ambiente naturale e di tutti gli esseri viventi. Sentivo, per me e per la vita che facevo, molto pesante l’alimentazione della mia tradizione, che era sostanzialmente a base di carni e di formaggi. Arrivata a Bologna per studiare ho cercato tuttavia un cibo diverso, che fosse comunque genuino, come quello che avevo sempre mangiato sin da piccola, e così mi sono trovata necessariamente a cercare nel mondo del biologico, dove mi si è spalancato un nuovo universo. Ho trovato che, mangiando biologico e prevalentemente vegano, stavo meglio e quindi ho sposato questa come alimentazione personale, pur con qualche difficoltà perché, anni fa, era difficile anche trovare i prodotti e, soprattutto quando si viaggiava, era molto difficile gestire questa cosa.

I tuoi familiari ti seguono in questa scelta oppure no?
Diciamo che all’epoca la mia famiglia d’origine l’ha presa molto male. In famiglia il cibo è anche sinonimo di convivialità ed è strettamente collegato a una ritualità che scandisce i momenti più importanti dell’anno e della vita. Il fatto che io cucinassi per me delle cose diverse era vissuto come un rifiuto della famiglia tout court, quando in realtà non è assolutamente questo. In quella fase iniziale non è stato per niente facile e, in molti momenti, ho dovuto affrontare delle provocazioni e mi sono sentita giudicata. Adesso invece mi chiedono, sono curiosi.

E poi hai deciso di trasformare questa passione in un lavoro?
Sì, esatto, dopo è diventato il mio lavoro. In un dato momento ho avuto la necessità di cambiare alcune cose nella mia vita e la cucina mi è sembrata la strada più giusta. Ed effettivamente mi ha dato molte soddisfazioni.

Ci puoi descrivere meglio il tuo concetto di cucina?
Sono arrivata in cucina dopo un lungo percorso di esperienze, anche molto diverse tra loro. Entrare in questo mondo mi ha permesso di condividere un cammino che è stato molto significativo per il mio sviluppo individuale, anche perché fa parte della vita di tutti i giorni, visto che noi tutti mangiamo almeno tre volte al giorno. Un percorso che implica sempre la scelta: del cibo che finirà sulla tavola, del modo in cui cucinarlo, degli abbinamenti di sapore e d’ingredienti. Il tema della scelta è stato per me determinante, sia come persona, sia come cuoca. Inoltre ho sempre apprezzato il lavoro di equipe della cucina. Certo, in molte cucine da brigata l’organizzazione gerarchizzata del lavoro può far sfuggire l’aspetto collaborativo. Ma, specie negli ultimi anni, c’è stato un grande cambiamento nell’organizzazione delle cucine professionali. Si è rivalutato molto di più il concetto del lavoro di squadra, del creare un gruppo che sia unito, motivato e collaborativo. Indubbiamente è importante che ci sia una persona che guidi, ma rimane fondamentale il contributo originale che possono portare tutti coloro che lavorano in cucina. La cucina è per me un laboratorio di collaborazione, ma anche di autonomia, perché è ovviamente impossibile controllare tutto nel dettaglio e diventa, quindi, necessario formare anche all’autonomia e instaurare un rapporto di fiducia. Il risultato è che si può lavorare con il sorriso e in un ambiente sereno!

La prima ricetta del tuo libro è la “minestra di farro verde”, una ricetta che svela una ricerca quasi antropologica declinata poi nel cibo e il desiderio di andare a trovare qualcosa che fa parte della nostra tradizione, ma che per qualche ragione abbiamo dimenticato e/o abbandonato.
Per questo libro ho deciso di selezionare delle ricette che mi permettessero di partire dall’elemento più semplice, da alimenti di base quali i semi integrali non macinati. Il farro verde è un grano che mi ha colpito molto per la sua particolare lavorazione. Interessante è anche il motivo per cui è stato trattato in questo modo nel tempo e in diverse parti del pianeta. Il grano verde viene raccolto quando non ha completato la sua maturazione e viene seccato in questa fase. I motivi che hanno portato a questa particolare lavorazione vengono raccontati in modi diversi a seconda del paese in cui questo grano viene prodotto. Nel centro Europa, ad esempio, la necessità era quella di salvare il raccolto anche quando si presentavano condizioni climatiche sfavorevoli. In annate particolarmente piovose, il grano veniva raccolto prima che marcisse e fatto essiccare in forno. Così, da una situazione di emergenza, è nato un prodotto nuovo. Dopo averlo scoperto e apprezzato, il grano verde ha infatti occupato un suo spazio in cucina anche per il suo gusto particolare.
E’ singolare il fatto che un prodotto molto simile si produca in aree con condizioni climatiche esattamente all’opposto degli ambienti umidi nordici. Troviamo un grano verde anche nel bacino del Mediterraneo, in Libano e Siria, dove la leggenda narra che circa due millenni e tre secoli prima di Cristo un esercito nemico che assediava una città siriana bruciò il grano prima di ritirarsi, per vendetta. A incendio spento, strofinando i chicchi tra le dita, scoprirono che le glumelle erano bruciate ma i chicchi si erano salvati: all’interno erano ancora verdi e con un gradevole gusto tostato.

È possibile ricreare dei piatti tipici della cucina italiana in chiave vegana?
Visto che siamo in Emilia posso dire di essermi cimentata nel piatto più tipico della cucina bolognese: le lasagne. Solo che ho usato la sfoglia senza uova, ho messo il seitan al posto della carne e la besciamella vegetale. Sembrerebbe un’aberrazione. In realtà il risultato è un piatto molto gustoso e anche molto simile all’originale. Per me è una sfida fare questi adattamenti, che deriva dai limiti posti dalla scelta: perché rinunciare a un piatto tipico della mia tradizione, di cui conservo un piacevole ricordo, il cui gusto è impresso nella mia memoria, strettamente legato alla memoria affettiva, come spesso avviene, visto che la cucina ci forma anche dal punto di vista emozionale? Devo rinunciare a un piatto che mi ha dato emozioni solo perché ho scelto di rinunciare ad alcuni ingredienti che sono costitutivi di questo piatto? Io penso di no. Mi ricordo il sapore, e allora perché non provare a farlo con altri ingredienti? Vediamo cosa esce fuori! È un po’ la sfida creativa di tutta la cucina, quello che tutti i cuochi fanno, andando a pescare nella memoria per ri-creare, partendo da lì. Le lasagne con seitan e besciamella di soia sono buone al punto che alcune anziane signore bolognesi hanno fatto fatica a credere che non ci fosse la carne.

Hai mai pensato di tramandare la tua conoscenza del cibo e di far conoscere a più gente possibile lo stile di vita vegano?
Sì, certo, lo faccio già. Dal 2005 tengo corsi di cucina naturale al Centro Natura di Bologna. Ovviamente poi questo mio modo di cucinare, che fa parte in modo totale della mia vita, è spesso argomento di conversazione e quando ne ho l’occasione sono sempre disponibile a parlarne e anche a trasmettere quello che so alle persone che si dimostrano curiose e interessate.

Una domanda pratica: è costosa la scelta vegana?
Secondo me non c’è molta differenza rispetto ad uno stile alimentare onnivoro, in termini economici. Certo dipende da cosa mangi. Si trovano anche polli interi a soli 2 euro, ma se si scelgono materie di qualità è tutto più costoso.

Ringraziamo ancora Giuseppina Siotto per averci fatto conoscere meglio il suo percorso di cuoca, il suo amore per la cucina e il suo libro. Per chi fosse già vegano o per chi fosse solo incuriosito da questo stile alimentare consigliamo la lettura di “Vegetaliana”, un libro nel quale si possono trovare ricette interessanti, ingredienti nuovi da scoprire e sperimentare, e tante storie curiose legate al cibo e dunque indissolubilmente legate a noi come esseri umani. Un libro che ci aiuta a conoscere anche qualcosa di diverso, elemento indispensabile per poter liberamente scegliere.

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Amelia Di Pietro

La Speziatrice di notizie - Cresciuta in Abruzzo, Amelia vive a Bologna dove si è trasferita a 19 anni per studiare. Si laurea prima in “Sociologia” e poi in “Giornalismo e Culture Editoriali” iniziando a scrivere di cultura e teatro. La cucina è un'altra passione, soprattutto quella vegana; lievito madre, cereali integrali, legumi, frutta e verdura sono oggi i suoi più cari alleati tra i fornelli. Per La Gazzetta del Gusto è la Speziatrice di notizie.

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