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Anthony Bourdain, verso la perfezione gastronomica

“Il Viaggio di un cuoco” del noto chef newyorkese scomparso nel 2018, nasce come approfondimento della sua serie-documentario sul cibo

La prima indicazione data agli allievi di alcuni corsi di critica gastronomica è quella di leggere Il Viaggio di un Cuoco di Anthony Bourdain e le ragioni sono molteplici.

La prima è che, pagina dopo pagina, si capisce come non sia una buona idea mangiare un’iguana, nel caso a qualcuno venisse in mente di cucinarne una. La seconda è che raramente capita di trovare un tour gastronomico mondiale tanto approfondito ed esauriente perchè il libro dello chef newyorkese, scomparso nel 2018, racchiude il meglio (e il peggio) sia del cibo di tutti i luoghi che di quello preparato dallo stesso autore che lo narra.

Irriverenza e ironia per contrastare l’ipocrisia

Bourdain a tratti mostra il suo ego, più raramente si sminuisce (si tratta spesso di falsa modestia?), ma alla fine risulta simpatico perché è irriverente, ironico quando meno te lo aspetti, a tratti esagerato, quando smaschera l’ipocrisia dei divieti di fumare a San Francisco, dell’Unione Europea (opinioni sue, il racconto è senza dubbio anche politico)… ma il suo bersaglio preferito sono di sicuro i vegetariani. Preferisce rischiare la vita in un fiume cambogiano invece che trascorrere una giornata in loro compagnia (a solo beneficio delle telecamere). Quanto sente dire che mangiare carne è un omicidio si arrabbia come se non ci fosse un domani e comincia a elencare tutte le ingiustizie di umani a danni di altri umani. I vegetariani devono armarsi di pazienza se vogliono portare a termine il romanzo.

Il Viaggio di un Cuoco di Anthony Bourdain

Il Viaggio di un Cuoco ha una premessa semplice e complessa allo stesso tempo. Nel 2000 Bourdain, seguito costantemente da una fidata troupe televisiva, decise di intraprendere un viaggio alla ricerca del cibo perfetto, realizzando un documentario per la TV, in cui a volte la gastronomia passa in secondo piano e diventa un pretesto per raccontare culture e situazioni politiche lontane dalla nostra.

Questa ricerca, molto simile alla ricerca del vero amore, implica notti in alberghi a cinque stelle (raramente) seguite da notti in stamberghe dai muri di fango (molto più spesso), implica sopportare il dolore di un maiale quando un coltello gli perfora il torace, implica uccidere personalmente un tacchino, sporcandosi di sangue, implica mangiare il cuore di un serpente (e scoprirlo simile a un’ostrica).

Il Viaggio di un Cuoco di Anthony Bourdain

Ristoranti acclamati dalla critica con menù degustazione si alternano a pasti in villaggi vietnamiti, dove si mangia con le mani rigorosamente da un unico piatto. Anche all’interno di uno stesso capitolo pare di sedere in una montagna russa: sapori celestiali vengono interrotti da strani agglomerati di verdure e zuppe improbabili. E la perfezione dov’è? Nel pasto frugale o al ristorante French Laundry di Thomas Keller? Ha poi senso cercarla?

Quando lo chef Bourdain va a cena da Keller, di cui ha un’altissima opinione, sembra suggerire che la perfezione in realtà sia soggettiva. Ad esempio Keller gli fa servire, esclusivamente per lui, un piatto con un forte sapore di nicotina. E incredibilmente fa centro, perché Bourdain ama fumare e il divieto di farlo in California lo fa imbestialire.

Ma soprattutto la perfezione ha a che fare con la memoria: il gioco funziona quando il piatto riporta il commensale all’infanzia (come accade nel film Ratatouille) mentre l’inverso non funziona. Ovvero quando si torna esattamente nel luogo dell’infanzia, sperando di ritrovare la carbonara della mamma fedele all’originale, si rimane puntualmente delusi. L’infanzia non è qualcosa che si può ricreare con un artificio ma va rievocata, in una sorta di magia. Che di certo esiste.

Il Viaggio di un Cuoco non è il testamento di Bourdain (ancora molto lontano dal suicidio), ma una scoperta affascinante, anche per chi ai fornelli non va oltre l’uovo sbattuto.

 

Il viaggio di un cuoco
Autore
: Anthony Bourdain
Editore: Feltrinelli
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 304 pagine

 

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Cecilia Alfier

Laureata in Scienze Storiche e diplomata alla Scuola Holden, mi sono avvicinata alla critica gastronomica perché ero alla ricerca di qualcosa di nuovo su cui scrivere e che mi desse gioia. Sono sempre intenta a nuovi esperimenti letterari, intanto continuo lo studio umanistico. Sono nata in provincia di Padova, ma sono torinese di adozione.

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