Il residuo derivante dalla molitura delle olive, se opportunamente trattato, può trasformarsi in biocombustibile o in mangime. Ne parliamo con Claudio Vignoli, consulente internazionale nel settore oleario
Oggi il recupero – e la trasformazione – dei materiali di scarto provenienti dall’agricoltura, dalla selvicoltura e dall’industria del legno, oltre che dai rifiuti urbani, è divenuto un modello di business indispensabile per poter raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030.
Ma dare una nuova vita, o meglio, una nuova funzione produttiva ai rifiuti, oltre a ridurre l’impatto sull’ambiente e abbattere i costi (di smaltimento) può dischiudere interessanti e inattese opportunità.
Bioeconomia: una nuova frontiera
«L’uso sostenibile delle risorse naturali rinnovabili e la loro trasformazione in beni e servizi si inserisce nella nuova frontiera della cosiddetta “bioeconomia” – spiega Claudio Vignoli, consulente nel settore oleario – un modello produttivo che ha fatto il suo ingresso nel mondo agricolo già da qualche anno. In questa ottica è corretto parlare di UP-CYCLING degli scarti più ancora che di RE-CYCLING. L’up-cycling, che non è il semplice riutilizzo di un oggetto o di uno scarto di produzione, ma è un processo di miglioramento qualitativo, è la strada da seguire non solo per rendere sostenibili le produzioni, ma anche per diversificare il reddito dell’agricoltore».
Il nostro Paese si è posto come obiettivo quello di aumentare l’attuale produzione della bioeconomia italiana (circa 250 miliardi di euro/anno) e il livello di occupazione (circa 1,7 milioni) del 20% entro il 2030 (fonte: www.agenziacoesione.gov.it). Per questo sono stati predisposti investimenti in ricerca, sostenuti anche dall’Unione Europea. Nel 2016, inoltre, il Decreto Ministeriale 264 (del 13 ottobre 2016) ha stabilito criteri incentivanti per la qualificazione dei sottoprodotti, ovvero le sostanze o gli oggetti che derivano dal processo di produzione di una materia. Prendendo come esempio il legno, i trucioli derivanti dalla sua lavorazione costituiscono un sottoprodotto che può essere reimpiegato per nuovi scopi.
La trasformazione della sansa: un’opportunità da cogliere
Guardando all’industria olearia, interessanti opportunità possono arrivare dalla trasformazione della sansa, ovvero il residuo dell’estrazione meccanica dell’olio di oliva costituito da parti di polpa, dai noccioli e dalla buccia delle olive, il cui smaltimento fino a poco tempo fa rappresentava un costo e un impegno notevole per il frantoio.
«Oggi la sansa è una materia prima sempre più ricercata per la sua grande versatilità d’impiego: da un lato nel settore delle energie rinnovabili (come biocombustibile) e dall’altro nell’industria dei mangimi» afferma Vignoli.
I passaggi: dalla sansa vergine alla sansa esausta
Per arrivare al prodotto finito da impiegare come biocombustibile o nell’industria dei mangimi, è fondamentale il processo di essiccazione controllato che avviene all’interno di impianti termici. Si parte dalla cosiddetta sansa vergine – fino a pochi anni fa considerata uno scarto – che viene sottoposta a un primo processo di essiccazione, per arrivare, quindi, all’estrazione (tramite solvente) dell’olio residuo. Quest’ultimo viene sottoposto a un processo di distillazione e di raffinazione prima di diventare commestibile.
Lo “scarto” conseguente all’estrazione dell’olio di sansa è la “sansa esausta” che si presenta in forma granulare ed è pronta per essere impiegata come biocombustibile o come base per i mangimi. Ma non è finita: gli stessi scarti della combustione, possono essere trasformati in concime.
«L’up-cycling della sansa – commenta Claudio Vignoli – è un esempio interessante di come si possa sfruttare al 100% un prodotto (l’oliva) per generare valore senza impattare sull’ambiente».
I processi di trasformazione delle olive e della sansa, infatti, sono tutti meccanici e quindi assolutamente non inquinanti.
Un business dal grande potenziale
All’estero, molti produttori di olio stanno investendo per cogliere al meglio tutte opportunità dischiuse dalla crescente domanda di fonti energetiche sostenibili.
«Il nostro Gruppo per esempio – spiega Claudio Vignoli – sta affiancando un’azienda agroalimentare australiana, la Cobram Estates Olives, proprio nell’integrazione delle tecnologie per l’essiccazione controllata della sansa all’interno delle attività produttive. L’obiettivo è trasformare in valore aggiunto gli scarti della lavorazione delle olive provenienti dagli uliveti di proprietà».
Vignoli conclude che il potenziale è, quindi, altissimo anche qui in Italia, soprattutto se si tiene presente che (a seconda delle annate) nel nostro Paese la produzione annua media di sanse è di circa sui 2,5-3 milioni di tonnellate. Il loro utilizzo (o ricircolo virtuoso) per la produzione di biomasse combustibili potrebbe avere un impatto estremamente positivo non solo sull’ambiente, ma anche sul settore olivicolo stesso, attualmente stretto nella morsa dei costi energetici e penalizzato dai cambiamenti climatici.
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