Storia del Ragù alla bolognese, una ricetta che merita “riverenza”
Dagli antichi ricettari alla prima preparazione ufficiale registrata alla Camera di Commercio di Bologna nel 1982, poi rivista nel 2023. Storia e bontà del ragu di carne alla bolognese
© Articolo a cura di Patrick Cerqueti
«Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza che la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perché il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove».
Così, nel 1891, scrive Pellegrino Artusi nella prima edizione de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, un volume che rappresenta una pietra miliare della cultura culinaria italiana. Dopo tanti anni, potremmo descrivere allo stesso modo la gastronomia bolognese le cui ricette sono diventate famose in tutto il mondo, a partire dall’iconico ragù di carne tipico di Bologna alla bolognese.
Ragù alla bolognese: la prima ricetta depositata a Bologna
Condimento per tagliatelle, tortelloni, balanzoni e tanto altro, il ragù alla bolognese riceve la prima codificazione ufficiale il 17 ottobre 1982 quando la delegazione cittadina dell’Accademia Italiana della Cucina si riunisce nell’Hotel Royal Carlton e approva il deposito della ricetta ufficiale presso la Camera di Commercio di Bologna.
A poco più di quarant’anni e infiniti giri del mondo, il 20 aprile 2023 il testo della ricetta viene modificato sulla base di una ricerca condotta da un “Comitato di Studio” della medesima Accademia, il quale «tramite apposito questionario ha sondato i pareri dei migliori ristoranti della città depositari di sperimentate ricette; nuclei familiari di antica tradizione; esperti gastronomi…omissis».
La nuova versione del 2023 del ragu di carne
Le differenze sostanziali tra la versione del 1982 e quella del 2023 riguardano il taglio di carne utilizzato e l’aggiunta del brodo. In particolare, la polpa di manzo macinata grossa ha sostituito la cartella di manzo, cioè il diaframma del manzo che è un taglio in disuso nelle moderne macellerie e supermercati; inoltre, nella nuova codificazione viene aggiunto il brodo di carne o vegetale, anche da dado.
Storia e origini del ragù
Ma qual è l’origine del termine ragù? Analizzando gli antichi ricettari europei, la prima citazione italiana di una simile preparazione compare nel volume “Cuciniera piemontese”, pubblicato a Vercelli nel 1771 da un autore sconosciuto. In particolare, si legge di un «intingolo, ossia salsa, condimento per ridonar l’appetito a coloro che l’hanno perduto. Si fanno di ragouts di molte sorti secondo le diverse cose, che vi si mettono». Il vocabolo ragoût è ripreso integralmente dalla lingua francese dell’epoca, derivante secondo il dizionario etimologico di Cortellazzo-Zolli al verbo già in uso nel quattordicesimo secolo “ragoûter” che significava proprio risvegliare (ra) il gusto (goût).
Il ricettario vercellese conferma come la cucina francese fosse arrivata in Piemonte per poi propagarsi nel resto d’Italia, come risulta anche da altre stampe culinarie del tempo.
Ricostruendo gli utilizzi del termine ragouts nella compagine d’Oltralpe, si trova un utilizzo già affermato un secolo prima nel celebre ricettario Le cuisinier François (1651) redatto da François Pierre de La Varenne, il più grande cuoco francese del diciassettesimo secolo. La preparazione è inizialmente intesa come una modalità di cottura simile alla brasatura o alla cottura in umido, in cui gli ingredienti possono essere variabili (carni, ma anche frutta e verdure).
Rientrando in Italia, due anni dopo la pubblicazione della Cuciniera piemontese, vede la luce Il cuoco galante, opera del cuoco di corte napoletano Vincenzo Corrado il quale utilizza per 76 volte il termine “ragouts” ma sempre riferito a un tipo di preparazione più simile a uno spezzatino e inteso come un contorno, a conferma delle origini transalpine della vivanda. Quasi tutte le indicazioni di cottura, date da Corrado, prevedono una rosolatura in burro, lardo o olio, quindi una successiva cottura in brodo o vino con ortaggi ed erbe aromatiche e l’aggiunta opzionale, a fine cottura, di succo di limone o più raramente aceto.
L’introduzione del sugo di pomodoro
Nei successivi ricettari dell’epoca, come L’Apicio moderno (Roma, 1790) di Francesco Leonardi o La cucina casereccia (1828) di un autore che si firmava M. F., si registrano i primi accostamenti tra ragù (ancora inteso come uno stufato molto annacquato) e pomodoro: un connubio sperimentale che farà la storia della gastronomia.
L’accostamento tra pasta e un condimento simile al ragù è presente ne L’Apicio Moderno, a proposito dei “Maccaroni alla napolitana”, gastro-toponimo che si identifica con la città partenopea e che troverà seguito nel tempo e nello spazio: lo ritroviamo, infatti, nel ricettario Cucina borghese (1863) di Francesco Vialardi, cuoco alla corte torinese dei Savoia, con la stessa nomenclatura “maccheroni alla napoletana” a conferma della saldatura avvenuta tra preparazione culinaria e tradizione locale.
Il ragù nei ricettari bolognesi
Sfogliando le pagine di ricettari bolognesi dell’epoca, come per esempio La cuciniera bolognese (1874), non si ritrovano ancora riferimenti espliciti a un ragù caratteristico della città. Bisogna attendere la pubblicazione de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, in cui Pellegrino Artusi scrive sia dell’ormai classico maccherone alla napoletana che dei maccheroni alla bolognese, a base di burro, pancetta di maiale salata, carne di vitello, sedano, carota, cipolla e brodo di carne (manca solo il pomodoro perché si possa identificare con il moderno ragù alla bolognese). Da sottolineare che la pasta suggerita da Artusi corrisponde ai «cosi detti denti di cavallo, di mezzana grandezza», le odierne mezze maniche.
Si presume che il mancato utilizzo del termine ragù da parte del gastronomo di Forlimpopoli sia dovuto al fatto che, a quell’epoca, il significato era ancorato a varie preparazioni di differente natura tali da poter confondere il lettore.
Se durante il periodo fascista si tenta senza successo di italianizzare il termine ragù, sostituendolo con “ragutto”, trend nazionalistico che coinvolse anche altre pietanze, è solamente dal secondo dopoguerra che avviene l’aggiunta di carne di maiale nella ricetta e una concentrazione maggiore di sapori e succhi, riflesso del benessere che si inizia a percepire nelle famiglie italiane. La quantità di liquidi o la densità della salsa possono sembrare banali dettagli ma, in realtà, sono spie importanti delle abitudini alimentari e delle condizioni socio-economiche dell’epoca: nel Settecento il sugo prevedeva una quantità importante di liquido a fine cottura, anche per poter dare da mangiare a più persone. Un retaggio gastronomico che affonda le origini nella cultura alimentare medievale-rinascimentale. Da inizio Novecento, ed in maniera più evidente a partire dagli anni Cinquanta- Sessanta, parallelamente all’innalzarsi degli standard qualitativi nelle case italiane, si assiste ad un evolversi del ragù bolognese sempre più denso e ricco.
Come sarà il ragù tra 200 anni? Sicuramente buonissimo.
La versione del 2023 dell’Accademia della Cucina Italiana
La ricetta che qui riportiamo è l’ultima registrata alla Camera di Commercio di Bologna, il 20 aprile 2023. Il diaframma del manzo, può essere sostituito dai tagli anteriori ricchi di collagene quali il muscolo, la spalla, il sottospalla, la pancia o la punta di petto e si possono fare dei misti. Secondo una moderna tecnica di procedimento, le carni si fanno ben rosolare da sole e poi si mescolano al battuto degli odori, anch’essi già rosolati.