Una giornata al Forno Brisa di Bologna per scoprire i segreti della panificazione

Ecco il nostro reportage del corso di panificazione incentrato sulla lievitazione naturale e la selezione di farine antiche macinate a pietra che si è svolto al Forno Brisa di Bologna.

Un giorno al forno“, il corso di panificazione svoltosi in due giornate differenti, il 30 ottobre e il 13 novembre, ha dato la possibilità a tutti gli iscritti di immergersi, per un intero giorno, nel complesso e profumato mondo della panificazione. Il valore aggiunto, rispetto ad altri corsi analoghi, risiede proprio nella filosofia che si è voluta divulgare attraverso questa iniziativa, ossia come realizzare un ottimo pane attraverso la lievitazione naturale, usando farine biologiche, grani antichi e macinati a pietra.

Questa interessante iniziativa è nata grazie alla collaborazione del Forno Brisa, un panificio che in poco meno di un anno (il 6 dicembre festeggerà la prima stagione di attività) è diventato un punto di riferimento per tutti i bolognesi che amano mangiare un pane realizzato con materie prime di alta qualità, e Antonella Scialdone, titolare del Laboratorio di cucina “La Pasta Madre, che ha fatto della sua passione un lavoro anche attraverso la scrittura di libri di successo come La pasta madree “Pasta madre, pane nuovo, grani antichi”.

Noi de La Gazzetta del Gusto abbiamo deciso di vedere da vicino in cosa consistono questi corsi e capire meglio se sono davvero utili per imparare delle tecniche per panificare in casa. Il corso al quale ho partecipato si è svolto all’interno del Forno Brisa: Pasquale Polito, uno dei titolari, ha aperto le porte ai corsisti con la volontà di diffondere le sue conoscenze e i segreti per una buona panificazione naturale.

Quello che mi ha colpito, in prima istanza, è l’amore che trapela nei confronti del proprio mestiere, sia da parte di Pasquale che di Antonella. L’accoglienza e il calore hanno ricreato da subito un ambiente confortevole nel quale ognuno, anche i meno esperti, si è sentito nella condizione di poter fare domande e acquisire conoscenze.

La giornata è stata molto lunga, infatti, Pasquale, da buon lavoratore indefesso quale è, ha tenuto i corsisti sempre impegnati, in un mix tra pratica e teoria che ha dato modo non solo di assimilare moltissime nozioni sulla panificazione, ma anche di capire quanto sia importante la conoscenza in ogni settore, e come la consapevolezza di ciò che si sta facendo, di ciò che si manipola e della materia prima che si vuole trasformare – sia essa anche una semplice farina che diventa pane – sia fondamentale per poter ottenere un prodotto di qualità.

La teoria

La parte teorica è stata divisa in tre grandi filoni: il pane, il campo, il mulino, ognuno affrontato con dovizia di particolari, perché, per fare un buon pane, è necessario capire da dove proviene la materia prima e quali sono le caratteristiche organolettiche e nutritive.

Il lievito madre

Il lievito madre è stato il primo tema trattato. Si è parlato delle sue peculiarità, di come si conserva, della giusta maturazione per poterlo utilizzare e delle caratteristiche del prodotto finale: un pane con una migliore conservabilità, più digeribile, in grado di esaltare il profumo dei cereali utilizzati e più valido dal punto di vista nutrizionale grazie alla maggiore assimilazione dei minerali contenuti nella farina. Il pane fatto con il lievito naturale ha bisogno di particolari cure ma, con un po’ d’intelligenza e senso pratico, può essere gestito anche in casa senza divenirne schiavo. L’importante, è “volergli bene ma starne fuori, come un figlio”.

Grano e cereali

Pasquale ha poi affrontato il discorso del grano e dei cereali, partendo dalle origini per capire come si sia evoluta questa coltura. Si sa che, ormai da millenni, i cereali sono una tra le risorse alimentari più diffuse nell’umanità. Tante sono le varietà che si sono prodotte nel corso dei secoli e, durante il laboratorio, si è parlato della genealogia Triticum, ossia i cereali più nutrienti, fino ad arrivare alla grande rottura del 1900, dove il grano ha preso un’altra strada per diventare un prodotto “controllato” dalle industrie. A causa dell’esponenziale richiesta era necessario che vi fossero raccolti sicuri e, proprio per questo, attraverso l’uso di pesticidi, concimazioni e semi uguali si è ottenuto un prodotto sempre più omogeneo (le farine 0 e 00, ovvero quelle più usate in ogni settore alimentare) e che avesse una forte resistenza. Resistenza però che ha sviluppato anche il nostro organismo attraverso una serie di malattie che hanno come origine proprio questo grano pensato a tavolino.

Anche il tipo di macinazione rende il prodotto finale completamente diverso. Infatti, la grande differenza tra la macinazione a pietra e quella a cilindri, la più diffusa, consiste nel modo in cui viene a costituirsi la farina nei diversi passaggi: il Mulino a cilindro porta a una totale separazione delle singole parti del chicco, facendo disperdere tante delle proprietà benefiche che esso possiede (basti pensare che il germe di grano, la parte oleosa più ricca, viene selezionata e scartata nel processo finale a causa del suo facile deperimento). Il mulino a pietra invece ha un metodo di macinazione completamente diverso il cui risultato finale è una farina integra, in tutte le sue componenti, che viene setacciata a piacimento a seconda del prodotto che si vuole ottenere.

La parte pratica

Per la parte pratica si è passati alla panificazione vera e propria. Ognuno dei partecipanti ha realizzato la sua pagnotta di pane scegliendo una o più farine tra quelle usate dal Forno Brisa: vecchie varietà prodotte da diversi mulini italiani, dal farro alla segale, dalla farina di tipo2 piemontese a una vecchia varietà siciliana, dalla Jericella delle marche alla Perciasacchi, sempre siciliana e molte altre, perché, ci ha spiegato Pasquale Polito nelle sue vesti di panificatore-filosofo, la contaminazione è fondamentale perché crea nuove opportunità e questo vale anche per il pane e, proprio per questo, è bene, ha spiegato, usare sempre farine diverse anche per il rinfresco del lievito madre.

Avevamo tra le mani semplicemente acqua, farina e lievito madre; il primo passaggio, fondamentale, è stato l’autolisi: dopo aver impastato grossolanamente questi tre elementi si è lasciato l’impasto a riposo per un quarto d’ora circa. Questo ha permesso la distensione dell’impasto che è divenuto molto più gestibile e ha avuto bisogno di poche altre manipolazioni, oltre al tempo di lievitazione, prima di essere messo in forno.

Abbiamo infine analizzato la lievitazione mista attraverso la preparazione di una focaccia in cui sono stati utilizzati, in piccolissima dose, sia lievito di birra in polvere che lievito naturale, metodo utile per quegli impasti che vanno consumati subito, in quanto il lievito di birra aiuta ad asciugare un po’ l’impasto.

È stata una giornata lunga, quella passata al Forno Brisa, ricca di spunti di riflessione e di nozioni che in qualche modo, non riguardano solo la panificazione, ma esplorano una filosofia di vita.