Marche: quello straordienoico trait d’union tra Nord e Sud Italia

Dal Verdicchio al Rosso Conero, passando per il Piceno, Vernaccia e Castelli di Jesi ma non finisce qui, ecco la trama enoica di quel filo d’Arianna tra Nord e Sud… ma noi, questa volta, ci fermiamo ai primi due

Le Marche. Che regione straordinaria dal punto di vista ampleografico, vitivinicolo e d’identità in calice. Bianchi e rossi giocano tra chi possa definirsi autentica chiave di lettura enologica per quella realtà geografica che è ponte tra nord e sud italico.

Le Marche, una delle balie della cultura vitivinicola italiana, e qui qualcuno, forse, storcerà il naso. Mal per Lui… Scoperte della fine del secolo scorso hanno, infatti, attestato la presenza di “vinaccioli fossili”, guarda caso in quel di Matelica, risalenti all’VIII secolo a.C. Ma la vera svolta, potremmo definire di vero marketing contenutistico, arriva solo nel 1954 grazie a Antonio Maiocchi che per l’Azienda vitivinicola Battaglia seppe dare un’anima plastica al Verdicchio con la sua intramontabile “bottiglia ad anfora”.

Ma dobbiamo arrivare alla fine degli anni ’80 per avere un expoit autentico della firma marchigiana nel gusto enologico. In quegli anni ’80, siamo nel pieno dello “yuppismo” per intenderci… Quelli in cui il cool era l’estetismo e lo yang… in cui ovviamente fiumi di vino scorrevano tra le piste innevate di Cortina, Courmayeur, Madonna di Campiglio… ah … quante bollicine, quante prosopopeiche sciabolate, quanti stereotipati sorsi… Bene, se lì si guardava dove il portafoglio poteva, qua, nelle terre di Raffaello, Bramante, Pergolesi e Leopardi si pensava ai:

«greppi attorno alla casa
dell’antico dove scendo
col padre tra i filari
di limpido bianchello
delle fiamme odorose
di bersigana*»
(*un’uva dagli acini rossastri – Umberto Piersanti, Greppi )

Ed è stata la fortuna vitivinicola di queste terre e di queste genti. Oggi, al di là di campagne, lautamente finanziate da Bruxelles in cui testimonial holliwoodiani ne decantano le bellezze, la cosa che appare evidente è che non ci siano più barriere

«che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude»
(G. Leopardi – L’Infinito)

ma una capacità di far sistema che qualche altra Regione, anche limitrofa, dovrebbe forse saper cogliere come esempio… e lo dico da emiliano-romagnolo.

Chapeau quindi…

La nostra immersione nella produzione vitivinicola marchigiana oggi ci ha portato ad “approfondire” due delle tipologie caratteristiche della cultura enologica di queste terre e di queste genti: il Verdiccio, sua Maestà dei bianchi e il Rosso Conero, un vermiglio tutto da scoprire, e garantiamo sarà «Amor, ch’a nullo amato amar perdona».

A una prima analisi appare lampante la grande capacità, interpretativa dei vignaioli marchigiani nel saper definire la versione bianca rispetto al quel “sangue delle colline” che qui, forse, avrebbe bisogno ancora solo di qualche sforzo di autenticità territoriale e sottrazione di spinte metodologiche di cantina.

Nei nostri assaggi appare, infatti, ancora un po’ troppo ridondante il legno utilizzato, soprattutto per i rossi, che non permette alla definizione organolettica originaria di esprimersi nelle sue autentiche potenzialità: giusto frutto, speziature già presenti senza accelerazioni terziarie, hanno tutt’altro che bisogno di altre sovrastrutture osmotiche di legno e ossigeno.

Dal Verdicchio al Rosso Conero, 6 vini delle Marche da provare

Il vigneto marchigiano è caratterizzato soprattutto dalla trama del Verdicchio. Che sia di Jesi o di Matelica, la nostra impressione è che questo vitigno sia il vero alfiere della rappresentazione enologica marchigiana. Se nella vicina Romagna, sul bianco l’Albana predomina per identità e storicità, qui da Pesaro fino ad Ascoli Piceno, la direzione è quella di seguir il candido nettare.

Quel vino che respira il mare e dona sorsi che sanno di fiori e di frutta gialla e che nelle sue declinazioni più strutturate si denota con trame più sensuali e gentili. Non mancano rimandi di macchia mediterranea a tratti balsamica. Ancora più caratteristico e meno iodato del suo “cugino” dei castelli è il prodotto della val Camerina (Matelica). Qui, se nella forma di vino base è il tripudio di fiore e di frutti con fragranze di sorso che virano su un lungo finale amaricante, nella sua versione Riserva diventa eleganza liquida in cui l’anice e la mineralità ne sostanzializzano i sorsi.

Questa entità geografica a schiena d’asino ha quindi tutto per poter diventare tra i luoghi cult dell’enologia nazionale. Lo hanno capito, dalla istituzione centrale fino alle sue declinazioni più territorialmente determinate e consorziali, anche i vignaioli. Eccone alcuni testimoni, assolutamente insufficienti a dare una fotografia organica della produzione, che ci hanno però colpito.

Rosso Conero Doc «San Lorenzo» Umani Ronchi  2018

Un Montepulciano 100% che colpisce per la sua sorseggiante polpa di frutta rossa. Dopo una  macerazione di 10‐12 giorni, in acciaio, segue la malolattica. Per il San Lorenzo di Umani Ronchi, la parte dell’affinamento prevede circa un 50% in botti di rovere da 50‐80 hl e per la restante in barrique ormai comunque esausta per 12 mesi. Successivamente all’assemblaggio il vino riposa altri 6 mesi in bottiglia. Grande ricchezza e gradevole sapidità al sorso con tannini di seta. Molto lungo il finale che si caratterizza per rotondità e spessore (94/100)

Conero Riserva Docg «Grosso Agontano» Garofoli 2016

Questo Conero Riserva di Garofoli è Montuplciano in purezza che trova espressività nella sua conformazione di gusti ampi, a tratti complessi. Colore profondo che al naso si concretizza in note d’amarena e tabacco ma anche speziature solleticanti come il pepe nero. Un sorso rotondo, avvolgente, lungo e persistente è reso relativamente armonico grazie a una buona freschezza e tannini addolciti . Un vino di calore e potenza che chiude lungo e balsamico. (91/100)

Rosso Conero Doc «Le Silve» Moncaro 2018

Altra riuscita interpretazione del Montepulciano in purezza. Questa volta grazie alla  macerazione prefermentativa a freddo è un vino più “giovane e gioviale”. Tecnica che permette la fuoriuscita nel calice dei cosiddetti aromi varietali. Il tutto si rende più complesso grazie  alla maturazione in botte e in vasche di cemento per circa 8 mesi.

Per il Rosso Conero Doc «Le Silve del parco» Moncaro 2018, tanto succo di frutta rossa, su tutte ciliegie e susine in maturazione, ma anche piccoli frutti di bosco, florealità richiamante la viola. Un vino che entra sul velluto con morbidezza e armoniosità dei tannini. (92/100)

Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc «Ammazzaconte» Buscareto 2018

Ammazzaconte di Buscareto è un vino che nasce a seguito di una pressatura soffice a grappolo intero, fermentazione in botti di acciaio. Una piccola parte del mosto fiore fermenta e affina in tonneaux di rovere francese per 6 mesi. Seguono 15 mesi di affinamento in botti di acciaio inox e tonneaux di rovere francese, successivo riposo in bottiglia per 5 mesi. Il gusto si caratterizza per un grande bouquet di fiori gialli, ginestra su tutti, ma anche frutta gialla matura arricchito da note particolari e speziate come l’anice stellato. Un vino molto lungo, con un’ottima sapidità e quella nuance minerale che lo rende molto godibile. (92/100)

Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva Docg «San Sisto» Fazi Battaglia 2017

Un gran vino. Rappresenta un cru di Fazi Battaglia. Vino territoriale al 100% in quanto prende vita nell’omonima vigna aziendale situata nei Castelli di Jesi. La fase fermentativa e di affinamento avviene  in barrique di rovere francese per circa 12 mesi a cui seguono almeno altri 12 mesi in bottiglia. Colore giallo paglierino intenso, quasi dorato. Tantissima la frutta matura gialla arricchita da florealità e quel tocco  di vaniglia e di burro di arachidi. È struttura liquida corpo, polpa e frutta che si amalgamano con una freschezza e sapidità invidiabile. Lungo il finale. (95/100)

Verdicchio di Matelica Riserva Docg «Cambrugiano» Belisario 2016

Altro grandissimo vino. Questa volta arriva da Matelica. Sole, mare, terroir si tuffano in sorsi che sono suadenti e armonici. Grande sapidità e freschezza giocano con i rimandi fruttati polposi e maturi che si alternano a belle sensazioni di fiori gialli e di er

be aromatiche e macchia mediterranea. Equilibrate e mai invadenti le note terziarie con dolcezza vanigliosa e chiusura quasi esotica. Un vino emotivo ed emozionante (Info: www.belisario.it). (96/100)