Puglia Vino

Salento, alla scoperta della Doc Salice Salentino e del negroamaro

Doc Salice Salentino: caratteristiche del Negroamaro
Grappoli di negroamaro (Foto © Alessandra Piubello).

La Doc istituita nel 1976 beneficia dell’impegno del Consorzio Salice Salentino, molto attivo in diverse inizative di promozione della denominazione e delle bellezze del territorio

Salento. Il tacco dello stivale, un territorio bagnato da due mari, ma profondamente ancorato alla terra, accarezzato dalle brezze marine. Salento, che trova nel suo vino principe, il negroamaro, il suo perfetto emblema.

In particolare la Doc Salice Salentino, istituita nel 1976, richiama il binomio imprescindibile con il suo vitigno portabandiera. Raggiungere quest’estremo lembo di terra che saluta ogni giorno il primo sole d’Italia, quando l’aria è tersa e il sole non ancora rovente, per passeggiare tra le vigne della denominazione, è come immergersi in un panorama di contrasti, di rossi terragni, di blu marini e celestiali, del verde delle campagne accecate dal sole tra le vigne. Ciò che colpisce di più è la luce riverberante e la pietra: quella dei muretti a secco e degli edifici.

I muretti in pietra, tipici del paesaggio salentino (Foto © Alessandra Piubello).

Il negroamaro, vitigno impegnativo ma ricco di sorprese

Un vitigno probabilmente arrivato qui attraverso i greci o forse, ancor prima, dai Balcani. Predilige soprattutto i terreni calcareo-argillosi, quelli del Salento sono particolarmente adatti, non a caso il Tacco d’Italia è la sua patria d’elezione.

Il sistema di allevamento più antico, che dà i migliori risultati da un punto di visto qualitativo, è l’alberello pugliese (purtroppo con costi elevati), anche se negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo la coltivazione a spalliera.

Un tipico sistema di allevamento ad “alberello pugliese” (Foto © Alessandra Piubello).

Un vitigno impegnativo sia in fase agronomica che in vinificazione, ma che dà grandi soddisfazioni anche per l’estrema versatilità. Ecco allora i freschi e sapidi rosati, con o senza bollicine; i rossi che si declinano in variazioni moderne, equilibrate e di beva piacevole ma anche in versioni tradizionali più strutturate, potenti e intense, dai tannini maturi, stoffa elegante e morbida, note speziate, balsamiche, empireumatiche e di frutta matura. Può essere anche vinificato in bianco e prestarsi a vendemmie tardive o surmature di personalità e solarità tutta mediterranea.

Va ricordato che il primo vino rosa imbottigliato in Italia fu prodotto proprio nel Salento, nel 1943, il celeberrimo Five Roses di De Castris, che ha una storia bellissima e meriterebbe un articolo a parte.

Doc Salice Salentino e Negroamaro
Alcuni vigneti nel Salento (Foto © Alessandra Piubello).

Perchè si chiama negroamaro?

La derivazione del nome negroamaro è controversa, ed esistono due principali interpretazioni. La prima dipende dal dialetto locale, da niuru maru, che significa nero amaro; questo termine racchiude in sé una descrizione del vino di un tempo, scuro e leggermente amarognolo (le note amaricanti non si ritrovano più oggigiorno).

Una seconda spiegazione, invece, propende per un’origine classica, dai termini niger e mavros che, rispettivamente, significano nero in latino e in greco: quindi, negroamaro sarebbe l’italianizzazione ripetuta di nero-nero.

La funzione promotrice del Consorzio Salice Salentino

Il Consorzio Salice Salentino, presieduto da Damiano Reale che trova nel vulcanico direttore Eugenio Manieri un capace braccio destro, sta impegnandosi molto per far conoscere le bellezze del territorio, della denominazione e i suoi vini a giornalisti, buyer e agli enoturisti.

Un consorzio che ha compiuto 20 anni quest’anno e che associa 46 aziende produttrici (oltre a 786 viticoltori, 32 vinificatori e 66 imbottigliatori) su un’estensione vitata di 1.540 ettari. L’istituzione rappresenta circa l’80% dell’intera filiera del Salice Salentino e si occupa della valorizzazione dei territori tra le province di Lecce (Salice Salentino, Veglie, Guagnano e parte del territorio comunale di Campi Salentina), Brindisi (San Pancrazio Salentino e San Donaci) e Cellino San Marco, in provincia di Brindisi.

Il viaggio in Salento e le cantine visitate

I suoli nell’entroterra del Salento, dove appunto ricade il comprensorio della DOC Salice Salentino, sono profondi, argilloso-calcarei; nel Basso Salento spesso risultano più superficiali e rossastri con roccia calcarea che di tanto in tanto affiora.

Cantina Candido, una storia iniziata nel 1929

La prima visita è per un’azienda storica, Candido, fondata nel 1929 a San Donaci (BR) a pochi chilometri da quel Salice Salentino che ha dato il nome alla Doc; nel 1957 iniziano a imbottigliare.

Alessandro Candido, terza generazione e arzillo ultrasettantenne fa gli onori di casa con simpatia, lasciandosi andare anche ai ricordi. Qui, infatti, arrivò nel 1957 l’irpino Severino Garofano, l’enologo che divenne celebre per la valorizzazione del negroamaro. Il celebre “Cappello di Prete” di Candido fu un’idea sua, nel 1976. Un’azienda che si estende su 110 ettari vitati coltivati con metodo biologico, per una produzione di circa 800mila bottiglie.

Informazioni: www.candidowines.it

Cantine Serio, l’entusiasmo nel sognare

Proseguiamo per Cantine Serio, sempre a San Donaci. Ci accolgono il trentaquatrenne Giuseppe Serio, vera anima aziendale e il padre agronomo Domenico che ha fatto ristrutturare la cantina degli anni Trenta per tramandare ai figli un passato nella vinificazione dei vigneti di famiglia.

«Sono il primo a imbottigliare, – racconta Giuseppe, prima si vendeva vino sfuso o si conferivano le uve. Nel 2017 comincio con il nostro primo vino La Cona che ha un significato antico. Tutto risale al tempo in cui i monaci basiliani eressero una chiesetta con un’icona della Madonna di Costantinopoli e misero a dimora il primo vigneto del comune. Cona è come venivano chiamate dai nostri vecchi quelle immagini sacre».

Giuseppe è profondamente coinvolto ed entusiasta del suo lavoro: da quest’anno comincia la conversione in biologico, ha in mente un nuovo vino in cemento da aggiungere ai tre già prodotti, vorrebbe trasformare l’antico palmento – che oggi è un giardino – in una zona di accoglienza dehors (la cantina è molto piccola, la produzione è di circa 10mila bottiglie). Da vigne di circa 30 anni (la più vecchia ne ha 45) derivano dei vini sapidi, equilibrati con un buon potenziale di evoluzione.

Informazioni: www.cantineserio.com

Foto © Alessandra Piubello.

Il viaggio prosegue, visitando anche altre cantine della denominazione, ma non ho potuto continuare a causa di un infortunio di mia totale responsabilità.

Conoscendo bene il territorio per la mia assidua frequentazione, trovo che la denominazione si stia impegnando seriamente per valorizzare i suoi punti di forza e per farsi conoscere anche attraverso l’enoturismo. La strada non è semplice ed è ancora lunga, ma il Consorzio del Salice Salentino è attivo e motivato, punta ad alcune modifiche al disciplinare (stanno lavorando all’introduzione del Superiore per il Salice Salentino Doc), è aperto a fare sistema anche con le altre denominazioni (recentemente con la neo Unione dei Consorzi Vini di Puglia, tempo fa con Rosautoctono, l’unione dei consorzi del vino rosa, che speriamo riemerga dalla fase di stallo). Ad maiora!

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Alessandra Piubello

Giornalista e scrittrice veronese, degustatrice professionista, è direttore responsabile di alcuni periodici. È curatrice della guida I Vini di Veronelli e autrice per la guida L’Espresso I 1000 Ristoranti d'Italia. Collabora con le più importanti riviste di settore nazionali e internazionali. È membro di associazioni di settore e presenza costante nei più autorevoli concorsi enologici mondiali.

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