Il presidente di Assoenologi, ospite all’appuntamento dell’associazione “Arte&vino” a Padova, si racconta: «Il segreto del vino è la valorizzazione del territorio»
Quali sono gli ingredienti che rendono il vino un’opera d’arte? Una domanda complessa, a cui si cerca di dare risposta con il ciclo di incontri “Gli stili del vino”, quattro masterclass organizzate dall’Associazione Arte&Vino, in provincia di Padova (ne avevamo scritto qui). Primo a salire in cattedra, lunedì scorso, uno degli enologi più autorevoli a livello internazionale, Riccardo Cotarella.
Riccardo Cotarella: «Il segreto per un gran vino è il territorio»
Presidente mondiale di Assoenologi, consulente per 103 cantine, docente universitario e titolare della cantina Famiglia Cotarella, Cotarella ha visto l’evolversi del settore enologico in ogni sua sfumatura e per questo ha le idee molto chiare.
«Il segreto per un gran vino è il territorio. – spiega – Un territorio da esprimere e valorizzare al meglio, ovviamente attraverso l’impegno, lo studio e il lavoro umano. I territori aspettano che qualcuno li scopra e li sappia tradurre in emozioni e sensazioni organolettiche. E in genere chi lo fa sono gli enologi e i produttori che non si rassegnano».
Un’affermazione importante, che vede protagonisti soprattutto i giovani produttori.
«Devo dire che le nuove generazioni l’hanno capito e stanno dando un grande contributo all’enologia italiana. Hanno la passione giusta unita alla cultura e alla preparazione per poter tirare fuori il meglio da quello che un territorio offre, un territorio che scelgono e vogliono valorizzare».
Cotarella spiega che questo non significa per forza un ritorno ai soli vitigni autoctoni:
«Cosa intendiamo per vitigni autoctoni? Storici? Non solo. I vitigni autoctoni sono quelli che esprimono al meglio il territorio: il vino, le piante, sono vive e crescono e si evolvono in un territorio. Può essere che da secoli in una zona si coltivi un vitigno che continua a rimanere inespressivo, come può essere che un vitigno “internazionale” trovi la sua migliore espressione in un territorio dove prima non c’era. Un esempio su tutti è Bolgheri: il vitigno autoctono sarebbe il Sangiovese, che in quelle zone non si esprime al meglio. Il Cabernet, il Merlot, invece, hanno assunto peculiarità profondamente legate al territorio che rendono i vini di questo territorio unici e amati in tutto il mondo».
Un altro esempio, proprio il Montiano prodotto dalla Famiglia Cotarella in terra Umbra: un merlot unico che parla del Tevere e dei calanchi di Civita di Bagnoregio.
Secondo Cotarella il vino appassiona così tanto che è normale che ognuno manifesti idee personali e diverse, ed è il suo bello perché crea pathos. Ad esempio, la questione tra vini naturali e vini lavorati in cantina, si è trasformata in una sorta di tifoseria che nella realtà dei fatti non ha praticità.
«Il Vangelo dice che il vino deriva dall’uva che è frutto della natura, ma che è opera dell’uomo. E così è anche in pratica: l’uva da sola, senza l’intervento umano, non diventerebbe mai vino, ma aceto. Il vino per diventare quello che è, ha bisogno di biologia, chimica e poesia. Ci sono milioni di esseri viventi all’interno del vino che bisogna sapere come gestire. Non esiste un vino completamente naturale».
Nonostante la sua enorme esperienza, comunque, l’enologo umbro non smette mai di imparare.
«Essere presidente mondiale di Assoenologi è un’esperienza fantastica e impegnativa. Rappresentiamo nazioni dove l’enologia è storica, come la Francia e l’Italia, e nuovi territori come il Giappone e la Cina. Conoscere colleghi da tutto il mondo è qualcosa che ti arricchisce: ho imparato che il vino è un dono di Dio. L’apprezzamento è in crescita continua, si può fare ovunque salvo le estremità del mondo e la tecnologia garantisce vini buoni ovunque: la scienza è fondamentale per una produzione di qualità. Dovreste vedere la meraviglia delle viti coperte dalla neve in Hokkaido o dagli ombrellini nel Sud del Giappone».
«Il vino unisce il mondo grazie alle sue diversità. – aggiunge Cotarella – Si crea una simbiosi mutualistica tra produttori, enologi e consumatori. Si va proprio a cercare la trasversalità organolettica che unisce tutti noi. La diversità diventa collante di opinioni, affetto, amicizia”. E, infine, ha imparato che «l vino ti dà ciò che tu gli dai. Se gli dai passione, amore e umiltà, è generoso. Altrimenti no: non esistono formule statiche. Parlare di vino è come parlare di figli».
Tanti sono anche i progetti in fase di sviluppo, ancora da svelare al grande pubblico:
© Riproduzione vietata«Abbiamo piantato la prima vigna in Vaticano, a Castelgandolfo, che uscirà proprio con l’etichetta della Santa Sede. Ho studiato a lungo per capire cosa piantare: prima pensavamo a dei bianchi, essendo la zona vocata, poi a del Malbec in onore del Papa argentino, ma infine ho capito che in questo territorio trova la sua massima espressione il Cabernet Franc. La prima vendemmia sarà il prossimo anno. Inoltre, è in corso di sviluppo un grande progetto a Pompei per costruire un anfiteatro del vino, con vitigni campani, che vedrà luce a marzo».