Vino

Piwi Italia, l’avanzata green dei vitigni resistenti. Puntano all’ingresso nelle Doc

Piwi Italia, i vitigni resistenti puntano alla Doc

Intervista a Marco Stefanini, presidente della nuova associazione a tutela di un comparto emergente ed ecosostenibile. I vitigni resistenti alle malattie fungine, situazione italiana e sensibilizzazione sul piano politico

«È un momento storico per la viticoltura italiana. Chiunque inizi a piantare varietà resistenti può iscriversi all’associazione Piwi Italia. Nata lo scorso gennaio, conta ormai più di 250 produttori».

Commenta soddisfatto il neo presidente Marco Stefanini, responsabile dell’”Unità di Genetica e Miglioramento genetico della vite” presso il Centro di Ricerca ed Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN), sede associativa.

Perché nasce Piwi Italia, quali sono gli obiettivi e le prospettive dei vini ottenuti da vitigini resistenti ai funghi? La Gazzetta del Gusto l’ha chiesto direttamente al presidente Stefanini, che ha come vice presidente Riccardo Velasco, direttore del Centro di Ricerca in Viticoltura ed Enologia (CREA-VE) di Conegliano (TV).

La cerimonia di inaugurazione di Piwi Italia (Foto © Ufficio Stampa).

Cosa sono i Piwi?

Chiediamo al presidente Stefanini di partire spiegandoci il concetto fondamentale: cosa sono i vini Piwi e vitigni Piwi?

«Piwi è un’abbreviazione della parola tedesca “pilzwiderstandsfähig“, che significa letteralmente “vitigno resistente al fungo“. Dal punto di vista tecnico, parliamo di incroci naturali tra Vitis Vinifere europee e altre Vitis di origini americane e/o asiatiche portatrici dei geni della resistenza, quindi sono piante in grado di difendersi da sole dalle principali malattie della vite, come la peronospora che ha decimato la produzione in alcune zone quest’anno, ad esempio in Abruzzo. La resistenza non va confusa con l’immunità e non è corretto nemmeno definirla come tolleranza. Possiamo semplificare dicendo che la pianta produce “gli anticorpi” al fungo; nel momento dell’attacco si attiva una catena di geni per contrastare la malattia.
Le viti Piwi sono sinonimo di maggior eco-compatibilità, meno trattamenti, maggior tutela della salute del consumatore, miglioramento della qualità di vita di chi lavora in vigna e di chi abita intorno al vigneto, ciò significa anche riduzione delle emissioni di CO2. Per tutti questi motivi, sul piano organolettico un vino da vitigno Piwi non può essere ritenuto qualitativamente inferiore a un vino convenzionale».

Marco Stefanini, Presidente dell’Associazione Piwi Italia (Foto © Marco Stefanini).

Perché l’argomento suscita in molti ancora diffidenza?

«Perché in Italia si parla di Piwi relativamente da pochi anni, nonostante l’attività di ricerca vada avanti da tempo e nel nord Europa i Piwi siano una consuetudine. L’obiettivo della sperimentazione e della ricerca è quello di mettere a disposizione dei viticoltori un numero sempre maggiore di varietà resistenti per poter valorizzare al meglio il proprio territorio con quelle più adatte. Non si può piantare la stessa varietà ovunque.
Bisogna far conoscere ed ampliare la conoscenza delle varietà resistenti e sensibilazzare, anche a livello politico, affinché molte più regioni le autorizzino, nel rispetto delle peculiarità territoriali. Speriamo vivamente che le varietà Piwi vengano autorizzate a far parte delle Doc».

Quante varietà Piwi esistono in Italia e come sono distribuite?

«Sono iscritte nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite circa 600 varietà di Vitis vinifera, le 36 Varietà Resistenti attualmente presenti nel Registro Nazionale non possono sostituire 600 genotipi. Quindi non ha senso parlare di antagonismo tra autoctoni e Piwi. La nostra attività di ricerca avrà proprio lo scopo di mettere a disposizione dei viticoltori un numero sempre maggiore di varietà resistenti per poter valorizzare al meglio il proprio territorio adoperando quelle più adatte. Sottolineo ancora che le 36 varietà attualmente autorizzate non possono essere piantate ovunque. Ad esempio, è molto difuso il Souvignienier Gris, ma ci sono tante altre varietà che possono essere impiantate, facendo prima le dovute valutazioni».

Alcuni nomi di varietà Piwi sono: Bronner, Johanniter, Soreli, Solaris, Fleuertai, Sauvignon Kretos, Regent, Cabernet Kortis, Merlot Khorus, Merlot Kanthus; solo per citarne alcuni (ndr).

Prosegue il presidente, Stefanini:

«Il nostro Paese ha avuto un percorso diverso dagli altri stati europei, l’impiego delle varietà resistenti nei vigneti non è stato autorizzato a livello nazionale. L’Italia ha delegato le regioni e alcune, come il Veneto, si sono subito adoperate per mettere a dimora questi vigneti. Hanno poi dato l’autorizzazione ai viticoltori di piantare le varietà».

Presidente, chi ha aderito a Piwi Italia?

«Oggi aderiscono il Trentino, l’Alto Adige, la Lombardia, il Friuli-Venezia Giulia, il Piemonte (regioni fondatrici insieme al Veneto); poi l’Emilia Romagna, le Marche, l’Abruzzo, il Lazio e la Campania. In termini di numeri il Veneto è la regione che la fa da padrone seguita dal Friuli-Venezia Giulia, ma con la metà delle varietà autorizzate rispetto al Veneto. I soci fondatori di Piwi Italia sono i presidenti delle associazioni Piwi regionali oggi esistenti: Daniele Piccinin dell’Azienda Agricola Le Carline di Pramaggiore (Ve) per il Veneto, Thomas Niedermayr della tenuta Hof Gandberg di Appiano sulla Strada del Vino per l’Alto Adige, Antonio Gottardi della Cantina La-Vis e Valle di Cembra per il Trentino, Stefano Gri della Cantina Trezero di Valvasone (Pn) per il Friuli Venezia Giulia, Alessandro Sala di Nove Lune di Cenate Sopra (Bg) per la Lombardia e Pier Guido Ceste dell’omonima azienda di Govone (Cn) per il Piemonte».

Insistete molto sulla necessità di considerare i Piwi anche in funzione dei cambiamenti climatici. Perché?

«La viticoltura, sebbene rappresenti solamente il 3% della superficie agricola europea, utilizza il 65% di tutti i fungicidi impiegati in agricoltura, ovvero 68 mila tonnellate/anno (fonte Assoenologi/Vini e Viti Resistenti). La diffusione massiccia di agenti patogeni, arginati da pesanti interventi chimici per non compromettere i raccolti, cozza sempre di più con la nuova concezione socio-economica di transizione ecologica, di salubrità e di salvaguardia dell’ambiente; quindi, in questo contesto fare viticoltura convenzionale diventa sempre più complicato. Quindi la mission di Piwi Italia è di ricercare varietà nuove, diverse e resistenti per garantire un futuro sostenibile e sano alle attività agricole, una chiave di volta per il rispetto del vigneto, di coloro che vi operano e del vino che verrà. Bisogna poi considerare che i cambiamenti climatici attualmente in corso porteranno alla necessità di individuare nuove varietà che meglio si adattino alle mutate condizioni».

Le iniziative sui Piwi

Il tema dei vitigni e dei vini Piwi è destinato a conquistare sempre più spazio. È già nata a Milano, lo scorso novembre, la prima enoteca dedicata ai vini Piwi, Dipende che Vino; esiste un sito sul tema, vinievitiresistenti.it di Luca Gonzato; nei seminari e convegni sulla sostenibilità ambientale e agricola si accenna all’argomento; la rassegna dei vini Piwi organizzata dalla Fondazione Mach è alla terza edizione e in Abruzzo il Pink Panel, unico gruppo di wine lover tutto al femminile, ha organizzato una degustazione divulgativa sui Piwi: in assaggio Cantina Le Carezze, Terre di Ger, Jasci Donatello e Savian.

I prossimi aggiornamenti su Piwi Italia li avremo in primavera, tra marzo è giugno, quando è prevista la celebrazione della prima assemblea.

Per maggiori informazioni: piwi-international.org

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Jenny Viant Gómez

Nata all’Avana (Cuba), vivo in Italia da 20 anni. Giornalista enogastronomica freelance, sommelier Ais, degustatrice iscritta all’albo e comunicatrice del vino, ho fondato Pink Panel, un gruppo di assaggio tutto al femminile. Avida globetrotter, assetata di vino e di conoscenza, sono titolare dell’agenzia per eventi e comunicazione esperienziale MasWine.

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