Tenuta La Pazzaglia: viaggio ai confini del Grechetto

Dalle porte di Roma alle terre etrusche per dare continuità al passato di famiglia. Una storia ricca di volti, tradizioni e grandi autoctoni, dove la regola del successo è la famiglia unita: così un’antica tenuta dismessa è diventata una delle realtà più interessanti del territorio laziale.

Castiglione in Teverina è uno di quei luoghi dove non si arriva per caso. Una gemma di confine da raggiungere senza fretta, attraversando boschi maestosi e cascine settecentesche circondate dal silenzio della campagna che domina la valle del Tevere.

Siamo nell’Alta Tuscia, lì dove il Lazio e l’Umbria si abbracciano e condividono un principe incontrastato di queste terre: il Grechetto. Anche Sora Teresa e il genero Randolfo non arrivarono qui per caso ma per cercare un “altrove”, in barba al progresso che a Mentana aveva cancellato la loro azienda per far posto ad un’autostrada.

Dalle porte di Roma alle antiche terre etrusche, un viaggio lungo una vita per rilevare una tenuta secolare dismessa da tempo e riprendere così quel filo interrotto fatto di passione e tradizione per il vino. In seguito, tutta la famiglia iniziò a seminare coraggio e determinazione, dalla moglie Agnese ai figli Pierfrancesco, Maria Teresa e Laura. Lontani dalle proprie abitudini, quasi in punta di piedi per non turbare il silenzio della splendida Valle dei Calanchi.

«Tutt’intorno non c’era nulla – racconta Laura – ricordo ancora il rumore dei rovi che grattavano le portiere della macchina. Io e i miei fratelli studiavamo a Roma e non fu facile integrarci in questa nuova realtà».

Tenuta La Pazzaglia, la tenacia di una famiglia per il successo

La storia della Tenuta La Pazzaglia è ricca di vicende familiari, unite dalla regola del successo. Dalla magica combinazione tra la terra e la tenacia, l’azienda ha saputo ritrovare la propria natura in un territorio che inizialmente li ostacolava. Uno sguardo al passato per dare valore al futuro che si posa su 37 ettari, di cui 10 piantati a vigneto e due a uliveto.

In prima linea è ora la nuova generazione della famiglia Verdecchia: lasciati i ricordi in città, alla Pazzaglia le cose si stabiliscono insieme e ognuno con un compito preciso. Pierfrancesco è l’uomo delle vigne, l’instancabile Teresa trascorre le sue giornate tra cantina e vigneti, coadiuvata dal lavoro del bravissimo Daniele Di Mambro, enologo della scuola Lorenzo Landi. Rimane Laura alla comunicazione e al marketing, la più piccola ma non meno dotata di grinta, forza e determinazione.

Il Grechetto, vitigno dalle due anime

Due diversi cloni, vicini di casa e per questo spesso confusi: il G5 o Grechetto di Todi e il G109, detto anche Grechetto di Orvieto. Più gentile e aromatico il primo, dal carattere meno docile il secondo ma che diventa importante nella sua versione più celebre, quella muffata.

Alla Pazzaglia va il merito di aver deciso per primi di vinificare separatamente le due diverse varietà, da qui la scelta di staccarsi dalla Doc. Una “sorta di ribellione” come la definisce Laura. In realtà si avverte la costante volontà di migliorarsi guardando lontano, verso il rinnovamento, senza mai dimenticare il passato e il territorio. Il Grechetto, l’autoctono dal cuore “in rosso” per la sua forte vena tannica, nasce infatti da terreni importanti, tufacei e argillosi, difficili da lavorare e molto minerali, va capito e intuito nelle sue necessità.

Teresa racconta dei consigli preziosi di un pioniere come Sergio Mottura, parla della grande cura dei vigneti con sovesci e potature in pianta dove e quando serve, tutto come una volta, tutto secondo pratiche antiche.

Poggio Triale, il Grechetto aristocratico che si fa attendere

La longevità del Grechetto è cosa risaputa ed è il tempo il segreto di Poggio Triale, l’etichetta simbolo della cantina La Pazzaglia. Il vino dove l’antico si mescola al moderno e l’essenziale allo sfarzo: figlio del clone G5, quello più precoce e dalla grande freschezza, fa quasi due anni di affinamento in bottiglia, a volte anche tre e mai la pretesa di produrre più bottiglie di quanto madre natura possa regalare. A tutti gli effetti un Grechetto aristocratico, che non concede immediatezza a chi non sa aspettare.

«Il Grechetto ha bisogno di questi tempi – afferma Daniele Di Mambro – facciamo vini per durare nel tempo, vini che più stanno in bottiglia e più ci emozionano».

Un grande appeal nella sua gentilezza minerale e verve sapida, un vino per chi nella vita non va mai di fretta.

G109 o Grechetto di Orvieto, il vino tutto da scoprire

Di grande impatto, più immediato e diretto ma da cogliere in ogni sua sfumatura è il 109, il vino identificativo dell’altro clone, il Grechetto di Orvieto per intenderci.

Toni di arancia e pompelmo, sambuco e melone verde avvolgono aromi di camomilla e ginestra, pesca e pera, cenni minerali di sale. Profonda la struttura, il gusto ben equilibrato, fresco e minerale, un vino dal forte impatto olfattivo e gustativo, versatile in qualsiasi occasione e pronto a far parlare di sé. Da non considerare assolutamente come il fratello minore del Poggio Triale, semplicemente un gemello diverso.

Tenuta La Pazzaglia, un ritratto di profumi e sensazioni del territorio

Così come l’altro bianco di casa Verdecchia, il Miadimia dalla piacevole impronta fruttata e dalla sapidità importante: Grechetto in percentuale maggiore, unito a Trebbiano, Canaiolo bianco, Verdello e una piccolissima percentuale di Chardonnay.

I vini della Tenuta La Pazzaglia sono ben fatti, un ritratto di profumi e sensazioni del territorio; vini che hanno il DNA di una famiglia che ha scelto di guardare al passato con rispetto e raccontano di grinta e determinazione, di passione e accoglienza in azienda. E non lo si scopre passando per caso da Castiglione in Teverina. Ma per scelta.