Uva Cellarina, vitigno reliquia che torna in vita

È uno degli autoctoni del Nord Italia che sta scomparendo. Ma forse c’è ancora qualche speranza grazie all’associazione My Wine, che promuove il recupero di antichi cultivar in via di estinzione, e alla sua collaborazione con la Scuola enologica di Alba

Tutto è in iniziato per amore del buon vino. Nel 2010 un gruppo di amici piemontesi, ma tra questi anche alcuni stranieri che vivevano nella zona, decide di fondare l’associazione My Wine. L’obiettivo è comprare alcune vigne dismesse che circondavano il borgo di Cellarengo (AT) e farle ritornare produttive.

Siamo nel cosiddetto Pianalto di Poirino, un territorio a cavallo tra le ultime propaggini delle colline del Monferrato, il Roero e la pianura torinese. Qui un tempo era diffusa la coltivazione di un’antica varietà di uva autoctona, la Cellarina o Slarina, molto apprezzata, ma di resa decisamente inferiore rispetto alla Barbera. Proprio la minor produttività ne aveva decretato il graduale abbandono.

«Ci siamo chiesti: perché non recuperarla?– spiega Giuseppe Gianolio, uno dei promotori di My Wine – E qui è entrata in gioco la nostra passione enologica: la sfida è diventata non solo fare buon vino per la nostra tavola, ma riavviare la produzione di questo antico cultivar assieme a quello di uva barbera».

La rinascita dell’uva Cellarina

Per far rinascere la Cellarina, da un lato si è recuperata la memoria dei vecchi, chiedendo ai vignaioli della zona consigli e pareri frutto di un’esperienza secolare. Dall’altro si è scelto di affidarsi alle conoscenze scientifiche del Centro Bonafous di Chieri e della Scuola enologica di Alba.

«Gli esperti del Centro Bonafous hanno analizzato i terreni, preparato i cloni e controllato la messa a dimora delle barbatelle; la Scuola di Alba invece ha messo a disposizione la propria consulenza e le proprie cantine per vinificare, in cambio di borse di studio».

Il 28 settembre scorso, finalmente, c’è stata la prima vendemmia di uva Cellarina, un momento emozionante per tutti gli associati, perché finalmente si è potuto toccare con mano il risultato del progetto. Nonostante la stagione climaticamente non proprio favorevole, flagellata anche da numerose grandinate, sono stati raccolti quasi 35 quintali di uva, conferita alla Scuola Enologica di Alba dove è stata avviata la vinificazione.

Associazione My Wine, 70 soci da tutto il modo

A dieci anni dalla nascita di My Wine il progetto è decisamente cresciuto, superando anche i confini italiani e richiamando partecipanti da tutto il mondo. Attualmente ci sono 70 soci che arrivano dagli USA, dalla Malesia, dal Belgio, solo per citare alcuni dei Paesi di provenienza. Mentre tra gli italiani, molti si sono svegliati prima dell’alba per venire a vendemmiare partendo da Toscana, Lombardia, Liguria…

«Oggi l’obiettivo di My Wine non è più solo produrre buon vino da bere con gli amici, ma recuperare quei vitigni autoctoni che rischiano di scomparire perché soverchiati dalle esigenze commerciali e di marketing» conclude Gianolio.

Una bella missione, dunque, che ci auguriamo possa essere di stimolo anche per quei giovani che decidono di tornare alla terra e alla viticoltura per ridare vita ad antiche produzioni oggi in via di estinzione.

Per chi volesse conoscere My Wine segnaliamo che sarà presente il 15 ottobre prossimo al Festival Itaca – Monferrato .